MONTAGNA di LOMBARDIAMONTAGNA di LOMBARDIA

 


Orsa Vida

Progetto Ursus

Storia dell'orso in Italia

Storia dell'orso sull'arco alpino

 

Distribuzione nel tempo

In passato l'orso bruno era presente su tutto l'arco alpino. La distribuzione e la consistenza della specie iniziarono a contrarsi notevolmente a partire dal XVIII secolo, fino alla sua definitiva scomparsa in tutta la porzione centro-occidentale delle Alpi italiane avvenuta nella prima metà del '900. Alla fine degli anni '90, un'analisi genetica rivela la presenza di soli 3-4 individui ancora presenti sulle montagne del Brenta, nel Trentino occidentale. A partire dal 1987 il Servizio Parchi e Foreste Demaniali in collaborazione con I.R.S.T.(Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica) ha avviato una ricerca per il monitoraggio e controllo biometrico dell’orso bruno attraverso una stazione di rilevamento automatico. Questo tipo di progetto sperimentale (primo nel suo genere in Italia) non intendeva sostituirsi al metodo tradizionale e naturalistico di monitoraggio ma, piuttosto si prefiggeva di fornire dati oggettivi sulla presenza della specie e sui singoli individui.



La stazione di monitoraggio automatico era stata posizionata nel Brenta settentrionale nelle immediate vicinanze di un sito di alimentazione artificiale (carnaio) rifornito dal personale del Servizio parchi e Foreste Demaniali. La stazione comprendeva una telecamera a raggi infrarossi, una serie di sensori di passaggio e una bilancia interrata, assolutamente inavvertibile che, in tempo reale forniva il peso dell’animale. Il tutto era collegato ad una postazione di registrazione che registrava su videocassetta sia le immagini sia l’ora della ripresa e il peso dell’animale ripreso. Attraverso questa apparecchiatura elettronica, a partire dal 1989 fino a tutto il 2001 sono state effettuate riprese di almeno 3 diversi esemplari di orsi autoctoni.

Cause della riduzione della popolazione di orsi sull'arco alpino
I principali fattori cui è legata la progressiva scomparsa dell'orso da gran parte dell'arco alpino possono essere così schematicamente riassunti. In una prima fase, conclusasi tra il XVIII e il XIX secolo si è avuta innanzitutto una persecuzione diretta sempre più accanita e dotata di mezzi tecnicamente sempre più evoluti, ma anche una drastica riduzione dell'habitat idoneo per l'orso e, quindi, dell'areale distributivo della specie. Ciò a causa delle mutate condizioni socioambientali conseguenti, essenzialmente, ai vasti disboscamenti, realizzati per aumentare la disponibilità di pascolo per il bestiame domestico e al progressivo capillare utilizzo degli ambienti montani. In questa prima fase, le possibilità di conservazione della specie rimanevano tuttavia ancora buone. A fronte di un'indubbia riduzione delI'areale complessivo, soprattutto nella sua porzione centro-occidentale, gli ambienti non compromessi erano ancora abbastanza vasti da poter ospitare popolazioni in grado di autosostenersi.

A riprova di ciò si riportano alcuni dati relativi alle uccisioni effettuate in tale periodo. In Valtellina, tra il 1873 ed il 1879, si ha notizia dell'uccisione di 49 orsi. In base a questi dati è possibile stimare per il territorio lombardo una densità di circa 1,5-3 individui per 100 km2. Considerazioni simili possono essere effettuate anche per il gruppo di Brenta (che presenta un'estensione di circa 600 km2), nel quale, tra il 1880 ed il 1925, sono state segnalate una media di 13 ± 2,9 uccisioni per decennio; da tale valore, relativamente costante nel periodo storico considerato, si può in media supporre una presenza minima di almeno 10-16 orsi che, riferiti all'area considerata, forniscono stime di densità pari a 1,7-2,7 individui per 100 km2. A partire dal 1850, la persecuzione diretta, realizzata in ogni stagione e con ogni mezzo diventava con il tempo sempre più efficace. Il crescente sfruttamento agricolo e zootecnico del territorio (anche) montano (che vide la sua fase di massima espansione nel periodo compreso tra le due guerre mondiali), contribuì a rendere diffusa e capillare la distribuzione antropica, riducendo al minimo i territori caratterizzati da un alto grado di naturalità disponibili per la fauna selvatica.

L'effetto sinergico delle modificazioni sopra richiamate probabilmente aumentò le capacità di controllo delle popolazioni animali anche negli angoli più selvaggi del territorio. Recentemente è stato rilevato come le uccisioni illegali e la mortalità per investimento sembrino positivamente correlate con la facilità di accesso umano ad un'area (Powell et al. 1997). Già nel 1889 il periodico "Diana Suisse", organo ufficiale dell'Associazione dei Cacciatori Svizzeri, rilevava la necessità di abolire i premi sulla cattura degli orsi ed avanzava la richiesta di attivare un fondo per la rifusione dei danni, al fine di evitare l'estinzione del plantigrado.

La causa ultima dell'estinzione dell'orso è quindi probabilmente da ricercarsi, più che nelle mutate condizioni ambientali (che pure hanno avuto un ruolo importante), nella persecuzione diretta operata dall'uomo che ha via via assunto un'efficienza maggiore. Lo sfruttamento agricolo e zootecnico capillare degli ambienti montani ha sicuramente contribuito a rendere maggiormente problematico il rapporto orso-uomo (maggiori danni, minore tolleranza) e a rendere più efficace l'opera di persecuzione cui la specie veniva sottoposta. incentivata anche a più riprese dal pagamento di taglie per gli orsi uccisi. Analizzando nel dettaglio le informazioni relative agli orsi abbattuti nell'ultimo secolo e mezzo si nota come nelle Alpi centrali vengano riportate notizie relative all'uccisione di 192 orsi (di cui 84 nel gruppo del Brenta), che rappresenta senza dubbio un numero notevolissimo. Il grosso degli abbattimenti cessa in Lombardia nel 1910, nel Trentino-Alto Adige nel 1915 e in particolare nel gruppo del Brenta nel 1925; in ogni caso, prima che la specie venisse protetta con il Testo Unico sulla Caccia (n. 1016 del 1939).

Si può notare come a cavallo degli anni '30, periodo in cui la caccia all'orso era ancora accettata e incentivata, sembri collocarsi una significativa diminuzione degli orsi uccisi. Ciò potrebbe essere imputabile a due ordini di fattori. Da una parte, come testimonia la progressiva e costante regressione dell'areale del plantigrado sull'arco alpino, è verosimile che la diminuzione degli esemplari uccisi possa essere messa in relazione a una diminuzione generale delle consistenze della popolazione. Altrettanto importanti sono probabilmente i concomitanti mutamenti sociali che a partire dagli anni '40-50 hanno portato al progressivo spopolamento del territorio alpino e quindi ad una minor incidenza delle uccisioni e delle azioni di bracconaggio. Ciò che appare maggiormente probabile è che la protezione della specie (o comunque la diminuzione della persecuzione diretta) sia stata avviata tardivamente, quando ormai la popolazione aveva raggiunto consistenze tali da risentire dei possibili fattori di rischio (genetici e demografici) particolarmente critici per le popolazioni di piccole dimensioni.

La dinamica di popolazione dell'orso è caratterizzata da tassi di incremento estremamente bassi. La storia passata mostra come l'accrescimento delle popolazioni possa essere fortemente influenzato dalla mortalità causata dall'uomo. Le piccole dimensioni di popolazioni isolate, quale sicuramente può essere già considerata quella trentina negli anni '40-50, già di per sé rappresentano una minaccia di possibile estinzione per semplici motivi stocastici (Lande 1988). Se a questo si aggiunge che la quota di individui uccisi illegalmente a partire dal 1940 di cui si possiede documentazione non è insignificante (in base alle segnalazioni accertate, si può calcolare che dal 1940 al 1972 in media sono stati illegalmente uccisi 3,6 orsi ogni 5 anni), si può concludere che la popolazione ha probabilmente raggiunto una soglia numerica critica già ne gli anni '50.

Il progressivo aumento, a partire dal dopoguerra, delle presenza turistiche nell'area ha sicuramente contribuito a ridurre ulteriormente il territorio disponibile per la specie, in quanto l'orso tende a evitare le zone interessate da un'intensa attività umana. Lo sfruttamento delle foreste rende indispensabile la costruzione di sempre nuove vie di penetrazione nelle aree boscate. Il conseguente incremento delle attività ricreative negli habitat occupati dall'orso causa di norma una scarsa o nulla frequentazione delle aree maggiormente disturbate. Questo fattore può tuttavia considerarsi una causa secondaria del regresso della popolazione, infatti l'aumento della pressione turistica diminuisce la qualità complessiva degli habitat. ma non sembra avere alcuna influenza diretta sui tassi di mortalità.

(Fonte "Studio di fattibilità per la reintroduzione dell'orso bruno sulle Alpi italiane INFS - PNAB)

L'ultimo nucleo autoctono
Fino alla metà del 1800 la specie era ancora abbastanza ben rappresentata su gran parte dell’arco alpino. Nei successivi 100 anni (1850-1950), l’orso scompare dall’intero arco alpino, ad eccezione del Trentino occidentale e di poche altre aeree limitrofe. L’areale occupato dalla specie si riduce a circa 3750km2. Vengono a mancare le segnalazioni relative alla porzione meridionale dell’area (Monte Baldo, Alto Garda e Valle Sabbia) e diminuiscono notevolmente quelle riferite all’Alto Adige e a Valcamonica e Valtellina.
Dopo il 1950 la popolazione non compie più spostamenti oltre i confini dell’Alto Adige. Nel periodo che va dal 1950 al 1974 si esauriscono anche le segnalazioni relative alla regione Lombardia e l’areale di primaria importanza per la popolazione si restringe al gruppo di Brenta, alla porzione trentina del massiccio dell’Adamello, a parte della Vai di Sole ed all’area del Monte Cadria-Altissimo (Vai dei Concei); il territorio occupato ammonta a 2.330 km2. Tra il 1975 e il 1982 diminuisce notevolmente anche la frequenza delle segnalazioni nella zona dell’Adamello, che si riducono alla sola Val Genova (l’estensione deIl’areale complessivamente occupato ammonta a 2.100 km2), mentre tra il 1983 e l’89 lo stesso fenomeno avviene nell’area del Monte Cadria­Altissimo.


Se agli inizi anni ’60 si poteva si poteva ipotizzare una consistenza di circa 15 esemplari, negli anni ’90 la stima scende drasticamente a 3 – 5 animali. Dopo la fine degli anni ’80 non si registrano più nuove nascite e, la “popolazione” sembra inevitabilmente destinata ad una rapida estinzione. Gli ultimi esemplari sopravvissuti frequentano quasi esclusivamente l’area del Gruppo montuoso della Campa, nel Brenta nord-orientale (Val di Non).

Il progetto di reintroduzione Life Ursus
FATTIBILITA’ DELLA REINTRODUZIONE Prima della realizzazione del progetto, l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica viene incaricato di analizzare la fattibilità e la probabilità di successo dell’immissione (Studio di fattibilità). Vengono analizzati 60 parametri, tra caratteristiche ambientali e aspetti socio–economici, su una superficie di 6500Kmq, ben oltre i confini della Provincia di Trento. I risultati sono incoraggianti: circa 1700 Kmq risultano essere idonei alla presenza dell’orso e più del 70% degli abitanti si sono detti a favore del rilascio di orsi nell’area.


• REALIZZAZIONE DEL PROGETTO Tra il 1999 e il 2002 vengono rilasciati 10 orsi provenienti dalla Slovenia, la maggior parte dei quali sembrano essersi ben adattati al nuovo territorio, tanto da registrare a partire dal 2002 almeno 9 nascite.


N. Orso Sesso Età Peso (Kg) Anno
1 MASUN M 4-5 99 1999
2 KIRKA F 3 55 1999 partorito due cuccioli (2002)
3 DANIZA F 4-5 100 2000
4 JOZE M 5-6 140 2000
5 IRMA F 5-6 113 2000 morta sotto una valanga
6 JURKA F 4 90 2001
7 VIDA F 3-4 70 2001 in Austria?
8 GASPER M 3 105 2002
9 BRENTA F 3 70 2002
10 MAYA F 5-6 86 2002 partorito due cuccioli (2003)

• OBIETTIVI A LUNGO TERMINE L’obiettivo è di consentire nell’arco di qualche decina di anni la costituzione di una popolazione vitale di circa 40-60 orsi adulti, la cui presenza interesserà molto probabilmente anche le province limitrofe. Non sono previsti ulteriori rilasci.

Il ritorno spontaneo

A partire dagli anni sessanta il settore orientale dell’arco alpino è stato ricolonizzato da esemplari provenienti dalla popolazione della vicina Slovenia, probabilmente grazie alla diminuita persecuzione da parte dell'uomo ed al miglioramento degli habitat (forestali) frequentati dall'orso.
Nel 1995 vengono riportate le prime segnalazioni in Provincia di Belluno. Nel 1999 viene accertata la presenza di un orso sul M.te Tauro - Valsugana (TN) - dopo oltre un secolo dalla scomparsa. ...la presenza di un singolo animale viene confermata fino all’inverno 2002-03.

A partire dagli anni '50 in alcune regioni della ex Jugoslavia la situazione dell'orso bruno è notevolmente migliorata. Gli orsi pur essendo considerati selvaggina e, conseguentemente cacciati, sono decisamente aumentati di numero grazie anche al fatto che in molte riserve di caccia essi vengono alimentati artificialmente sia presso "carnai" sia con altri sistemi e alimenti (foto).

Come diretta conseguenza del buono stato di salute di questa popolazione balcanica si sono iniziati a registrare fenomeni di immigrazione di orsi verso Austria ed Italia a partire dagli anni '60. In Austria, dove la popolazione era probabilmente estinta nei primi anni del secolo, a partire dagli anni '70 si sono verificati, in Carinzia, avvistamenti di orsi provenienti dalla Slovenia, e nel 1972 un esemplare maschio si è insediato nell'area tra Stiria e Bassa Austria. Attualmente in quest'area sono presenti circa 5-15 animali, mentre per l'intero paese si stima una popolazione di circa 25-30 orsi, comprendenti anche quelli derivati dalle operazioni di reintroduzione condotte negli anni '90 (tre esemplari).

Il territorio italiano, dalla seconda metà degli anni '60, è stato interessato da un fenomeno di ricolonizzazione spontanea nella zona del Carso triestino e Prealpi Giulie, da parte di individui provenienti dalla vicina Slovenia. Negli anni '70 queste segnalazioni si estendevano al Tarvisiano e, più recentemente, animali provenienti da Austria e Slovenia sono stati avvistati sulle Alpi Carniche Occidentali e Prealpi Carniche. Negli ultimi dieci anni la specie è stata segnalata più volte anche in provincia di Bolzano e di Belluno, mentre nel corso del 1999 un orso (Friz) si è spinto sino a circa 20 km dalla città di Trento per poi gravitare, fino a tutto il 2002 nell'area del Trentino orientale, a cavallo tra le province di Trento e Belluno.


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