Parapendio - Racconti tratti da altri siti
Notte stellata, il vento da nord spazza le lacrime dal
cielo. Si dorme bene nel caldo del proprio letto.
Dalle persiane socchiuse pernetrano le prime luci dell'alba
di un giorno come tanti altri, per molte persone.
Per chi, invece, ha fatto delle proprie braccia ali e del
proprio corpo un fuso aerodinamico, oggi è un giorno
magico. Il cielo perfettamente terso, un gradiente termico
verticale notevole, la primavera alle porte.
Solita routine di preparazione ad una giornata di volo,
con un po' più di entusiasmo. Scarponi, guanti, vario,
casco, sottocasco, tutto perfettamente schiacciato nello
zaino, sempre troppo piccolo, ma sempre così pesante
!.
E' un giorno lavorativo, molti dovranno sfogare alla sera
la rabbia di aver perso un giorno favoloso per causa di
quel maledetto lavoro...
Forse qualcuno avrà deciso di prendere ferie e mi
farà compagnia in decollo.
La grossa manica a vento dell'atterraggio è ancora
incerta se orientarsi da sud o da nord. E' presto, nessuno
arriva mai in atterraggio prima delle 12.
Non posso più aspettare, devo salire in decollo,
il recupero lo farò questa sera o domani, tanto questo
ferro vecchio di moto non me lo ruba nessuno.
Il piano del decollo dei delta è, per noi parapendisti,
un pessimo decollo, ma con un po' di esperienza si riesce
ad andare in volo senza problemi e poi, in caso di un brutto
giorno con inversione bassa, ci si può godere il
piacere delle termiche blu, con i piedi che penzolano sul
mare di nebbia: per mal che vada si fa una planata di 1200m
di dislivello.
Comunque oggi la situazione è ben diversa: le termiche
blu partono come petardi da quota 200 metri e si fermano
chissà dove.
Le piante del decollo iniziano ad ondeggiare a cicli che
si fanno sempre più regolari.
E' ora !
Nessuno si è visto in decollo; peccato, avrei preferito
avere qualche compagno di volo, anche se oggi le termocavie
non servono !
La manichetta si raddrizza, anche quella che c'è
poco più in basso sulla punta di un arbusto al fondo
della scarpata, segna brezza allineata al pendio e di buona
intensità. Il ciclo termico è attivato, non
attendo oltre: decollo.
Guadagno velocemente i primi 300 metri di quota restando
nell'incertezza se continuare a salire come un ascensore,
senza fare una sola virata, affondando semplicemente i comandi
fino a raggiungere la minima velocità di volo, in
modo da non uscire dalla termica, o se fare qualche 360°,
così solo per non fare come chi si gode un giorno
di bel tempo stando seduto in poltrona, con giornale e pantolfole.
OK, attacchiamo il rock !
La termica blu non si firma nel cielo con un cumulo che
ti dice dove trovarla, te la devi sudare, se riesci a passare
30 secondi in un -7 metri al secondo senza farti mettere
a terra, allora sei entrato in pista, ma attento: il toro
scatenato non vede l'ora di disarcionarti e cacciarti a
cornate al di là degli spalti, in un bel sottovento,
in pasto all'ira della folla.
La bestia è domata, ora prendo fiato volteggiando
in un +4 metri al secondo, la folla esulta, sono al centro
della pista, sono solo, in questo momento non vorrei nessun
altro con me.
Debolezze umane.
Potrei morire qui, senza poter salutare nessuno...
Pensieri veloci, irrazionali, che l'immensità del
cielo in cui sono immerso non fanno che accelerare.
2500m si sale ancora bene, ma se continuassi le virate in
questa debole ascendenza perderei del tempo prezioso nella
lotta contro i chilometri....
Senza accorgertene sei entrato nella folle ruota dei record
da battere, nella corsa per dimostrare al mondo che sei
tu il migliore, che non temi avversari....
No, troppe volte sono atterrato dandomi i pugni in testa,
dopo un bellissimo volo, solo perchè non ero riuscito
ad arrivare la'...., la', chissà dove e chissà
perchè.
Basta chiacchiere !
Affronto il primo lungo traverso con il vento in coda: traiettorie
scontate, anche se poco frequentate.
La prima risalita.
Qualche tempo fa ero arrivato qui alle 16 e avevo lottato
per 30 minuti prima di fare quota 2000, adesso devo fare
i conti con le "botte mattutine" che mi fanno
fare lo jo-jo. Salti in groppa e ti avvinghi alle redini
della bestia e, con gli occhi chiusi, aspetti che la lancetta
del vario torni sullo schermo ad un tranquillo +5.
Zona pessima quella di BARD: vento forte, nessun atterraggio,
ma poco importa, oggi nemmeno i sassi scendono! La prima
volta che sono passato di qui ho dovuto combattere con la
dinamica frastagliata delle creste, adesso con la quota
che ho raggiunto posso beffeggiarle e arrischiare una traiettoria
che mi porta dritto sulle prime cime della valle di CHAMPOLUC.
Ora viene il difficile, fino a quì conoscevo il percorso,
ma adesso è tutto nuovo, se sbaglio dovrò
destreggiarmi in una valle sempre più stretta e ventosa,
per non parlare di CHATILLON, dove, per ben che mi vada,
troverò almeno 50Km/h di brezza !
"Basta perdermi in pensieri sul cosa sarà !"
Non ci sono ancora arrivato, devo pensare ad impostare la
nuova traiettoria, a dove andare a riagganciare e ad un
eventuale prato per atterrare... ALEX mi ha detto di entrare
nella valle "tanto che ti frega hai, il vento in coda".
Aveva ragione, come sempre.
Nel traverso si salta da una parte all'altra del seggiolino.
Non potrei uscire da questa turbolenza senza il rischio
di andare ad atterrare. Questa direzione è l'unica
che , forse, mi consentirà di riagganciare una termica.
Davanti a me una cresta alta appena 1600m, le prospettive
non sono buone, sarà difficile riguadagnare quota.
Per la prima volta di oggi fatico a localizzare il canale
giusto, quello in cui si sale, qualsiasi cosa si faccia,
qualsiasi traiettoria si imposti, eppure il sole batte bene,
uno sguardo all'ora ...
Che razza di volatile di pianura !!!!
Sono le 11 del mattino e, data l'ora legale, sono solo le
10! Nella fretta di salire, di decollare, di andare in volo,
non mi sono accorto di essere decollato ad un'ora da pazzi,
in cui il sole, nelle giornate normali, non ha ancora fatto
a tempo a scaldare la terra e quindi corro il rischio di
restare presto a corto di carburante: niente aria calda,
niente possibilità di salire, niente più chilometri
in volo.
Nulla mi diceva di stare a terra: brezza, gradiente termico,
calore dei raggi solari, frequenza dei cicli termici, tutto
era perfetto. Potevo almeno fare più quota, prima
di affrontare questo traverso.
Adesso in un attimo potrei trovarmi a terra o abbracciato
ad una pianta, tentando ancora con la mano di fare l'ultima
virata, sperando di poter ancora agganciare.
Sono quasi finito, ma devo lottare fino a quando quel "sono
quasi" non si sia trasformato in un tragico "sono".
Per fortuna esiste un santo anche per noi volatori, un canale
scosceso, rocce a strapiombo e altri petardi da domare,
saranno certo pochi e non bisogna fare errori di pilotaggio.
Seggiolino, comando sinistro, entro in virata, avanzo leggermente,
rilascio, rientro, mi avvicino al pendio, rallento, rilascio
il comando interno, viro...
Salgo.
Finalmente fuori, sono ancora in gioco: la quota di 2300m
non è certo confortante; la cresta piega prima verso
nord- est poi verso nord-ovest, verso lo ZERBION. Zone d'ombra
enormi, il sole è molto lontano dallo zenit e non
so decidermi sulla prossima mossa da fare, sono un pessimo
giocatore di scacchi, non so prevedere quali saranno le
mosse successive, ma qui siamo in aria e il pezzo a cui
spetta la mossa sono io: ora cavallo per saltare un colle,
ora pedone per procedere un metro alla volta in una piccola
termica, ora alfiere per incrociare una traiettoria, ora
torre per uno spostamento senza limite di quadretti.
Ora sono un re sottoposto a scacco: una regina avversaria
mi blocca minacciosamente la strada, non ho a disposizione
molta quota, non posso fare salti da cavallo, devo arroccare.
Calma, cerchiamo di rifare un buon pieno di quota, perdere
10 o 20 minuti per pensare, in una posizione più
sicura.
Ottima mossa: La regina si scopre ed ora sono una torre
che si ferma a 3500m. Il gioco con un avversario così
penalizzato è divenuto semplice.
Sono saltato su un treno velocissimo, la deriva per il vento
da sud mi ha tolto ogni dubbio: la prossima meta è
lo ZERBION, canali fantastici esposti a sud-est.
Pago la corsa subendo delle terribili turbolenze, la mano
destra è continuamente a metà fra freni ed
emergenza.
Il re resta arroccato, ma gli altri pezzi sono tutti pronti
all'attacco, la mente si concentra sui comandi: freni acceleratore.
Zerbion, mon amour! Di qui ho fatto i primi voli alti, 2200m
di dislivello in un mattino di febbraio. Quanto freddo,
ma che emozioni....
Ora non è che un trampolino di lancio per la prossima
cresta: la becca D'AVER.
Ho volato anche da lì sempre con il mio fidato nove
cassoni: giorno instabile, siamo arrivati fin sopra ST VINCENT.
Ora è diverso, non posso affidarmi "al caso",
ora devo attraversare la valle a tutti i costi. La tensione
nervosa è a livelli da esaurimento: sbagliare sarebbe
un peccato..( la infernale macchina del record si riaccende
e ti ruba la ragione e spesso centinaia di metri). Oggi
gira tutto bene, forse troppo...
All'improvviso la sensazione macabra del sellino che parte
in rotazione: manovre istintive, precise, per evitare la
caduta.
Freno esterno a fondo, peso tutto a destra.
Non basta.
La rotazione inizia, perdo il senso di orientamento. Il
groviglio di cavi blocca i freni: è il primo twist,
non pensavo potesse succedere con il mio Bat...
Calma, pensa, agisci, ristabilizzati.
La velocità di rotazione diminuisce, i cavi iniziano
a srotolarsi.
La maniglia del paracadute di emergenza resta ancora una
volta al suo posto, oggi non ci sarà nessuna data
di apertura e ripiegamento sul manuale.
Ok, sono fuori, l'ala torna a volare.
Tutta velocità verso una zona sicura.
"...Ma dove sarà ?"
Ero quasi sul pendio, sulla parte soleggiata, adesso dove
devo andare?
... BIIIIP, la bomba è esplosa: la lancetta del vario
si nasconde. Resiste solo l'altimetro, che continua a mangiarsi
i numeri. Un 360° sarebbe impossibile. Alla velocità
con cui salgo, nella termodinamica fortissima, rischierei
solo un velocissimo ritorno a pendio con conseguenze disastrose.
Potenza delle termiche BLU.
Fino ad ora avevo visto poche volte la quota 4000 metri
scritta sull'altivario, capisco perchè gli alianti
vengono in VALLE a fare i voli più belli...
E' ora di smetterla, girare un +2 a 4250 metri non mi servirebbe
che a congelare ulteriormente.
... Le dita ?
Dove sono ?
Freddo, fa terribilemnte freddo.
Trovo le parti del mio corpo morsicando i guanti. Non dicono
nulla, sono fredde, non sono gelate, stavano solamente lì
in silenzio, compiendo il loro dovere: stringere la barretta
del freno.
Prossima fermata l'Aiguille CROUX, ma se arrivo più
alto potrò sorvolare una cima di 3000 metri su cui
le termiche hanno posto un chiaro cartello pubblicitario.
Attimi eterni.
Mai come ora mi sono sentito impotente, in balia della natura,
a nulla servirebbero i miei sforzi se dovesse entrare il
vento da nord ....
Rifaccio il pieno di quota: 4300 metri; devo vedermela con
il traverso piuttosto duro della VALPELLINE.
"E se tentassi di andare al GRAN COMBIN ?"
Dall'altra parte VERBIER mi accoglierebbe a braccia aperte.
... Sogni di gloria...
Meglio attraversare la valle e macinare chilometri verso
il MONTEBIANCO, almeno il ritorno a casa sarà più
facile.
Sono sopra al decollo 4 di AOSTA; grido al miracolo !
Non vedo nessuno.
Per forza, guarda quanta neve !
La stanchezza si fa sentire, le braccia sono a pezzi, hanno
già lavorato molti metri di dure termiche; la schiena
incassata nel seggiolino si lamenta; i pensieri si annebbiano;
la soddisfazione di essere arrivato fin qui è talmente
grande da farmi balenare per qualche attimo nella mente
l'idea di atterrare: atterraggio sicuro, il caldo di un
bar, una bibita, un panino, il treno fino a casa, una doccia
calda, il letto.
Ora volo per il puro piacere di essere in aria; la macchina
del record ha lasciato il posto alla macchina del piacere
sottile del volo libero.
Rifare il pieno di quota è uno scherzo, lottare contro
le termiche è molto meno difficile che dover lottare
contro se stessi, con la voglia di arrivare...
Il percorso visto da questa quota è chiaro, evidente,
i canali, le creste rocciose che spuntano dallo spesso manto
di neve segnano le fermate di un viaggio fantastico, verso
una meta ignota, che cambia istante per istante, si avvicina
ad ogni fermata e si allontana appena hai deciso di non
scendere dal treno.
COURMAYEUR !! Non ci posso credere, piango dalla felicità,
ma non voglio scendere, ho fatto un volo fantastico a tempo
di record, sono solo le 16, le 15 per il sole, ma 6 ore
nelle braccia sono tante. La vista del BIANCO, delle JORASSES,
del DENTE, irresistibile la voglia di arrivarci ancora una
volta più vicino.
Pazienta ancora un attimo, rifai quota, pensa la traiettoria
migliore: ti devi giocare ancora molte ore di sole e adesso
più che mai non devi sbagliare !
Eccola: ancora lei!
La macchina infernale spunta dalla rimessa con la portiera
aperta e ti invita a salire.
Un pensiero folle, i PILONI soleggiati del BIANCO sono lì
che ti aspettano, 4810, quanto basta per il TOUCH &
GO sulla cima più alta d'Europa !
La macchina scalda il motore, ti avvicini, ma il baratro
che si apre dopo il portone è accecante, troppo irreale.
Nessuno fino ad ora è mai riuscito a passare sopra
il BIANCO, anche i delta preferiscono la via della MER DE
GLACE per raggiungere la Francia.
Lo scorso anno ero riuscito a passare sopra le JORASSES,
4300 o 4400m, poi sono atterrato a CHAMONIX: ho rischiato
le manette, ma sarei pronto a rifarlo ! Un aliante, incredibilmente
alto sopra il BIANCO italiano. Sono a 4000 e continuo a
salire bene sopra la TOUR ROND.
Posso vedere la MER, ma il desiderio è irresistibile.
Parto per un traverso da brivido, ghiacciai, cime di oltre
4000m. Forse sto scherzando con il fuoco (anzi con il ghiaccio
), ma mi sento sicuro, le traiettorie sono calcolate, evitano
le zone pericolose con un buon margine di quota, la NOIRE,
i PILONI, ci sono, adesso vedremo se le termiche arrivano
fino a .....
Salgo in 360° seguendo i BIIP del vario, perchè
le solite sensazioni sul segiolino mi fanno pensare di girare
in discendenza, eppure è un favoloso +3, verticale
come le torri di roccia che lo spingono.
Inevitabile pensare alle storie degli alpinisti, lette sui
libri, che hanno lottato con questi imponenti guardiani.
La magia di passare il filo delle creste, di essere in orbita,
ad una quota in cui nessuna montagna d'EUROPA può
raggiungerti... !
Si sale ancora, mai come ora capisco che le termiche BLU
si arrestano la' dove noi non riusciamo più ad agganciarle,
dove la nostra mente non riesce più a disegnarle
nel cielo.
L'aliante, è ancora qui, mi ha visto, mi saluta piegando
le ali; penso alla faccia del pilota: 40 a 7 scarsi di efficienza,
ma tutti e due lì, sopra lo stesso treno; la termica
si addolcisce, ma la tengo in pugno, sono ancora distante
da...
Il mio unico compagno di volo mi saluta e si allontana velocemente:
istintivo, ma illusorio, seguirlo.
Inconfondibile una sagoma di ghiaccio appare al mio fianco.
Mi avvicino, è colma di alpinisti che urlano festosi,
chissà cosa darà loro tanto fiato ?
Un uomo coperto di stracci colorati attraversa la loro vita
in attimi che per entrambi saranno indimenticabili. Passo,
rasentando la cima, sopra pochi occhi increduli. Il sole
è tiepido, la brezza sottile, quasi inesistente,
condizioni che qui si trovano di rado.
Mi faccio forza e sblocco l'emozione che mi toglie il fiato,
urlo, saluto, sgambetto.
Continuare a giocare fino a notte con i miei nuovi compagni
sarebbe il desiderio più grande, ma non voglio scendere
a questa fermata, sarà il sole a darmi la meta.
Da più di 4900m riesce facile disegnare la rotta
verso la capitale mondiale dell'alpinismo: CHAMONIX, ma
anche verso MIEUSSY o verso quella cima, sconosciuta, sulla
quale sembra spiccare il cartello blu della prossima fermata.
Plano al centro di un mondo irreale.
Uno sguardo all'ora, sono le 18: è veramente troppo
tardi per cercare nuove mete, nuovi orizzonti. La lunghissima
planata di un'ora, a 7 di efficienza e 30 Km/h, mi ha fatto
guadagnare molta strada e la meta sembra ora affacciarsi
dietro l'ultima stanchissima termica a +1.
L'atterraggio deserto di MIEUSSY. Anche qui ho già
volato. Con le luci del tramonto tutto è diverso,
più dolce, ma anche triste perchè una volta
con i piedi a terra scoccherà la mezzanotte e le
mie ali si trasformeranno nuovamente in uno straccio sfilacciato,
privo di vita.
Piango come un bambino, sono felice e triste allo stesso
momento, sto per atterrare, ma il canale a fianco del prato
sembra dirmi "vieni ti offro l'ultima possibilità".
Cedo e mi lascio tirare nel folle gioco. Si "dinamica"
bene anche se il dislivello non è più di cinquanta
metri. La brezza è buona, troppo, il vento sta rinforzando
e avrei fatto meglio ad atterrare, piuttosto che vendermi
l'anima per qualche metro.
Manovre istintive di chi ha imparato a volare nelle valli
in cui il signor VENTURI è diventato celebre.
Sono a terra, anche se attorcigliato dai cavi e dalla vela:
giusta fine di un presuntuoso.
Fortunatamente anche questa volta QUALCUNO è stato
così gentile da perdonare la mia superbia.
Sono ARRIVATO !!!
Mi districo a fatica, tiro il groviglio di cavi e spinneker
su per quei maledetti 50m di pendio, mi fermo, colgo al
volo l'ultimo squarcio di sole.
Sono più o meno a 150 Km, in linea d'aria, da casa,
sono distrutto dal freddo e dalla fatica; il sangue che
torna a scorrere nelle mani congelate è il primo
prezzo da pagare per 9 ore di volo.
Passano i soliti 5 minuti neri, poi la vita torna a scorrere
nelle vene, cominci a ripensare al volo, al decollo, alla
prima termica che ha segnato un giorno indimenticabile,
il tempo passa troppo velocemente, le luci delle auto sulla
strada ti riportano alla realtà: devi svestirti,
piegare, metterti lo zaino a spalle e sfoderare il pollice
magico... In Francia dovrebbe essere tutto più facile,
qui tutti riconoscono da un miglio di distanza un parapendista
appiedato !
Si ferma una scassatissima R4, sta insieme solo per gli
adesivi che la ricoprono.
Saluto con il mio rocambolesco francese ...
Mi chiede da dove arrivo, non capisco se si riferisce al
volo o al mio paese di origine.
Svicolo con la tipica frase: "Giornata favolosa per
il volo !"
Dall'accento molto poco francese capisce che sono italiano
e mi ripete la domanda:
"Da dove vieni ? Da CHAMONIX, o sei salito a piedi
in decollo ?".
Sorride, sembra leggere nei miei occhi qualche cosa di grosso.
"Lo sai che un mio amico aliantista ha visto un parapendio
sul BIANCO ? Ha detto che puntava verso la FRANCIA...."
"Deve essere stato uno dei pochi pazzi, ma fortunati,
in aria: oggi si è scaricato un brutto temporale
sul versante nord delle Alpi e nessuno ha osato andare in
volo prima delle 16, ma hanno fatto tutti un volo stupendo.
Probabilmente in Italia hanno potuto volare bene già
dal mattino..."
"E tu quanta strada hai fatto? Che ala voli ? Che ..."
Quante domande, la strada corre veloce, non gli ho neppure
chiesto se va nella mia direzione. Ha finito le domande,
mi racconta che è arrivato vicino al lago di GINEVRA,
stava tentando con degli amici il record di distanza sul
triangolo FAI, era tardi per concludere l'ultima boa, ma
oggi nemmeno i sassi scendevano: record europeo ...
"A proposito dove vai?"
"Devo tornare in ITALIA".
"Hai la macchina a CHAMONIX ?"
" No"
"A les HOUSCES ?"
" No"
"Vai al traforo ?"
"Si, spero di trovare un passaggio verso l'ITALIA,
altrimenti un pullman"
"Hai franchi ?"
" No, spero di poter cambiare in frontiera, se devo..."
"Ma non mi hai detto che ala voli !"
"Un Bat *****, un 23mq, è molto veloce, quasi
40 Km/h..."
"Be, non è certo un aliante, ma termica bene,
soprattutto sopra i 4000m !"
Ride, non capisco se mi prende in giro o ...
Lo guardo, sorride, lascia le mani dal volante e, allungando
le braccia, mi ripete un gesto indimenticabile... le ali
di un aliante in volo, si muovono, siamo in alto.... saluta
!
Era proprio lui ! Altro che un amico, passava sul BIANCO
dopo forse più di 600 Km di volo !
Quanto è piccolo il mondo, temevo di raccontare il
mio volo per paura di non essere creduto e invece parlavo
con uno dei pochi che mi aveva visto da vicino.
Andiamo a farci una bevuta a CHAMONIX ?
"Ok, tanto è tardi e sarà bene trovare
un telefono per avvisare a casa che tarderò, un po'"
"Da dove sei partito ?" Ora non ha più
senso svicolare: "Da ANDRATE"
ANDRATE ? PAS POSSIBLE !
"Quanti chilometri sono fino a qui?"
" Boh 100, forse più, non so di preciso".
Arriviamo in centro, per una strada ormai familiare, dove
il top degli alpinisti e dei volatili si mischia alla folla
dei turisti e degli sciatori.
Entriamo nella fumosa birreria "della bionda",
come la chiama C. Un tavolo particolarmente affollato e
rumoroso leva gli occhi dalla birra, saluta il mio amico,
di cui non saprò mai il nome, lo invita al tavolo.
Si accorgono del pivello e gli chiedono se sono un allievo;
mi puntano con gli occhi ( di chi la sa lunga sul volo ),
"Tu voli in parapente !"
"Sì"
"Gran giornata, eh, oggi !"
"Si, molto buona"
Ci sediamo, metto fra le gambe il mio pargolo, che non lascerei
da solo per nessuna ragione al mondo.
Tirano fuori una cartina con il loro piano di volo, hanno
tentato tutti il triangolo, qualcuno non è riuscito
a finire per colpa di un maledetto temporale che gli ha
impedito di passare sulla boa di GINEVRA e così si
è dovuto accontentare di poco più di 800km
di percorso, gli altri hanno ancora i 1200 Km di volo negli
occhi; se li guardi bene riesci ad intuire i loro percorsi...
Con fare scherzoso mi chiedono di tirar fuori il mio piano
di volo.
Naturalmente non lo avevo fatto, ma gli dico che è
nel fondo dello zaino e, se permettono, posso illustrarglielo
sulla loro magnifica cartina.
Stento a trovare il paesino di ANDRATE, che è dall'altra
parte del tavolo, sotto una media bionda.
"Eccolo ! Questo è il punto di decollo, ore
10 circa !"
Silenzio, mi guardano e scoppiano a ridere, poi mi invitano
a continuare, come se stessero per ascoltare una buffa storiella
argutamente artefatta.
Traccio con la matita il percorso di volo, le quote toccate,
cerco di spiegare loro le difficoltà incontrate,
un decollo un po' prematuro, vista l'ora, una zone di volo
nuova, il vento di valle, le turbolenze, le facce stupite
di alcuni alpinisti, un aliante, la planata, il canale che
stava per ferirmi...
Troppi particolari, troppo preciso, non può essere
un sogno. Il mio compagno di volo continua la mia rotta
nel versante francese, spiegandomi che avevo avuto fortuna
a non bucare in più di un posto, sono passato a fianco
di due o tre termiche di servizio, che loro usano abitualmente
alla sera e che io, invece, ho raggirato, sprecando chilometri
gratis...
Le ore corrono, il righello non riesce a unire il decollo
all'atterraggio, si abbozzano un paio di misure a spanne,
poi con l'aiuto di un metro tascabile si fa il punto. Qualche
problema con la scala, non può essere giusta.
"A che ora sei partito ?"
" Verso le 11, credo"
"A che ora sei atterrato ?"
" Mi pare fossero le 20 forse più forse meno"
"Nove ore di volo su quel trabiccolo?"
" Sì, è stata dura "
"Hai una media di 16 Km/h. A quanto voli in massima
velocità? "
"A 40 Km/h indicati, si intende, quindi, considerando
la quota media del volo e il vento in coda per la maggior
parte del volo, a molti di più "
"Che quota massima hai fatto ?"
Sono passato sopra al BIANCO, forse qualche metro in più,
ma non molti "
"Fa freddo sul seggiolino, vero?"
" Sì, ma in volo non lo senti. Voi volate con
l'ossigeno ?
"Oggi siamo arrivati a 7500m in termiche blu, e lass-
non se ne può fare a meno. Se fosse entrato il nord,
saremmo riusciti a fare 8 o 9000m in volo d'onda."
" Grazie per la bella serata, ma ora devo decidere
se cercare di tornare a casa o tovare un posto da dormire".
Avevo assolutamente bisogno di un letto e ora ne avevo dieci
a disposizione, dovevo solo scegliere.
"Che dormita!"
Ci voleva proprio, il tempo è triste, la bassa pressione
è entrata, la meteo francese assicura almeno tre
o quattro giorni di pioggia, inutile restare, devo tornare
in ITALIA, devo recuperare la moto in decollo.
Poco importa, mi giro, chiudo gli occhi e sono pronto per
un altro volo !
Le montagne sono ancora lì, le termiche, le traiettorie,
le emozioni che ho provato sono svanite, non ne resta alcuna
traccia, se non nei miei ricordi. Mercoledì, che
giorno.... ....Sognare ad occhi aperti un volo che prima
o poi qualcuno ripeterà, forse sognando a occhi aperti
con un pezzo di carta in mano.
Nota: Tratto dal sito "sparavel.it""
IN VOLO DAL MONTE ROSA
di Claudio Aimone
Le previsioni meteo in un'estate piuttosto avversa, che
peggiora di anno in anno con bizzarrie e capricci, avara
di quell'anticiclone stabile, l'amico delle ferie, finalmente
regalano uno spiraglio per tentare la salita alla Capanna
Margherita, il rifugio più alto d'Europa, arroccato
nel gruppo del Monte Rosa.
L'intenzione, raggiunta la cima, è quella di decollare
con il parapendio, per poi atterrare ad Alagna Valsesia,
3200 metri più in basso.
Alpinisticamente le difficoltà della salita lungo
la via normale rimangono modeste, legate più all'ambiente
ed alla quota che a passaggi tecnici.
Di regola con il parapendio si parte da un decollo basso,
comodo da raggiungere in macchina o con gli impianti di
risalita, per sfruttare le correnti ascensionali, guadagnare
quota, spostarsi lungo i crinali grazie all'efficienza del
mezzo, magari per ore, oppure semplicemente per scendere
a valle immersi nel paesaggio. Ho la fortuna di abitare
in una zona servita da più decolli di facile accesso,
che si trovano a meno di cinque minuti dalla porta di casa.
Ma volare in montagna, dopo la sudata a piedi, rimane un'altra
cosa.
Desiderato, gustoso, recondito il sapore della planata.
Ti trovi in aria e riguardi anche la traccia seguita in
salita, asssaporando un caleidoscopio di emozioni intense.
Già, le emozioni! In quest'era super tecnologica,
dove entrando in casa e schiacciando un pulsante si accende
la luce, schiacciandone un altro ci si collega al mondo
con immagini e suoni, mancano solo la tattilità e
i profumi per espandere i sensi, seduti sul divano, con
il riscaldamento regolato a piacere.
Si allontana il gusto dell'avventura quotidiana, si assopisce
il senso di osservazione dell'uomo che per svolgere la propria
attività lavorativa o ludica guarda il cielo, rispetta
i limiti e le esigenze della natura (usata invece per canalizzare
frustrazioni o creare business), si sente integrato in essa,
vivendo un rapporto bilaterale fatto da una parte di umiltà,
timore, a volte rabbia, dall'altra di grandiosa potenza.
Nel volo in montagna, a mio avviso, vien dato di riscoprire
integrità d'azione, armonia con l'ambiente, appagamento
di un desiderio effimero, ma Tuo.
Il risultato dipende da fattori legati a te, alla buona
sorte, alla meteorologia, definita da Hubert Aupetit ( I
visitatori del cielo , pag.21 ): "simile all'economia,
utile per dare ottime spiegazioni a cose fatte. Le sue analisi
soddisfano lo spirito curioso.
Ma esse hanno qualche difficoltà nel campo pronostico.
Il computer è il mezzo indispensabile per centralizzare
i movimenti delle 1000 stazioni continentali, dei 4000 osservatori
navali e delle stazioni automatiche sempre più numerose
che si installano sul pianeta per sostituire la troppo costosa
opera umana. Le previsioni si basano su delle simulazioni
numeriche. Vengono utilizzati dei modelli differenti a seconda
degli stati, cosicchè talvolta si ottengono delle
stime divergenti. Le previsioni, anche in 24 ore, possono
essere errate, o in ogni caso non abbastanza precise per
appagare i bisogni vitali di utenti esigenti come gli aereonauti
di tutte le discipline".
Consultato il bollettino di Nimbus e decisa la data di
partenza, faccio un giro di telefonate. "Pel e os"
il biondo, Luca "al gress", che formano la coppia
pane e salame, ed altri. Ma tutti nella sostanza mi danno
risposte simili. Rimangono a casa.
La sera prima, perse ormai le speranze di avere un compagno,
arriva il regalo. Beppe si è liberato dagli impegni,
saliamo insieme. Artista nella fotografia, idealista di
pensiero, gli calza a pennello la definizione data dalla
Buscaini a Reinhard Karl, figura di spicco dell'alpinismo
tedesco: " Concreto e sognatore nel contempo, profondamente
sincero, colto per scelta di studio personale, non amante
degli schemi fissi. Un prussiano travestito da bohemien,
preciso, efficiente, e razionale dietro l'apparenza vagamente
hippy." Diceva che la montagna aveva fatto di lui una
persona positiva, amante della vita.
Partiamo al mattino presto da Ivrea, nostra città,
per raggiungere Alagna. Da qui la prima salita con gli impianti
per l'Indren è solo alle 8,30, ma grazie che ci sia.
Superato il tratto iniziale di piano tagliamo il sentiero
classico deviando sulle roccette attrezzate con corde fisse,
risparmiando circa mezz'ora. Lasciamo il rifugio Gninfetti
sulla sinistra, puntando al colle del Lys.
Proseguendo il cammino, reso leggero dalla conversazione
amichevole e dalla splendida giornata, osserviamo le prime
formazioni di cumuli, alti, ma in anticipo.
Probabilmente più avanti ci sarà un piccolo
temporale estivo.
Raggiungiamo il Rifugio Margherita in meno di 4 ore, con
zaini carichi di circa 20 kg. (abbigliamento, attrezzatura
alpinistica essenziale, vela-imbrago, apparecchi foto).
Ale Bich, mio compagno di lavoro nella stagione invernale
a Cervinia e palinatore del Ventina, d'estate migra fin
quassù come capo-turno ( l'altro capo è il
Gian, pilota d'aereo e parapendio ), in cerca di un posto
dove meditare, dove far battere il suo gran cuore. Ci aspetta
con lasagne fumanti al formaggio, di quelle che lasciano
la bava ininterrotta quando con la forchetta le alzi dal
piatto, e si fan gustare prima con gli occhi. Accompagnate
da un litrozzo di rosso, sorsato in nome dell'amicizia e
della salita, arrivano presto alla fine. ( Grazie davvero
Ale! )
Come prevedibile il cumulo ingrossato, proprio tra noi e
l'atterraggio, impedisce il decollo. Inoltre non conosco
l'intensità del vento nel fondo valle. Preferisco
aspettare, riposando al sole caldo, senza fretta o timori.
Mal che volga anch'io dormirò qui, ritentando domani.
Studiando le traiettorie di volo e immaginandomi nei diversi
punti vengo pervaso da una strana sensazione: non riesco
a sporgere la testa molto oltre la balconata.
Eppure, anche dovessi abortire il decollo, scivolerei al
massimo per quei 100- 150 metri di neve compatta che separano
il Rifugio dall'enorme pianoro sottostante, riportando qualche
graffio sui vestiti, come capitò al "Mocetta"
(poi riuscito a veleggiare sopra al rifugio, ripagandosi).
Forse inconsciamente cerco protezione prima di prepararmi.
Preferisco rischiare lo scivolone in partenza se la vela
non porta o se sale male, piuttosto che avere l'impiccio
dei ramponi durante la corsa iniziale.
Potrebbero infastidirmi sui cordini, oltre che in fase di
atterraggio.
Alle 18,00, con il cumulo dissolto, la valle visibile, il
vento quasi neutro in decollo, e non ultima considerazione
gli alpinisti rintanati per la cena, decido che è
il momento propizio.
Stendo la vela nello spazio adiacente al Rifugio, con le
bocche rivolte a Nord, pronte ad incamerare la pochissima
brezza, in quel magico gesto di sollevamento che trasforma
un tessuto adagiato per terra in macchina, in profilo alare.
Iniziando a correre la sento salire regolarmente, dritta
sulla testa. E' il momento di buttare ulteriormente il peso
del corpo lungo la linea di massima pendenza accelerando
i passi. Trascorsi pochi secondi mi trovo staccato, e aspetto
di guadagnare una distanza dal pendio sufficiente per virare
a destra, verso il vallone di Macugnaca.
Le condizioni serali tranquille di planata permettono una
guida rilassata, lasciando spazio a pensieri e a istinti.
Assorbo come una spugna la bellezza del paesaggio, l'intensità
del momento, dimenticando tutto il resto.
Circa un'ora e un quarto più tardi, prossimo all'atterraggio,
presto maggior attenzione alle manovre, compiendo gli ultimi
"otto" prima della procedura finale, e fila tutto
liscio. Beppe, che si è fermato a dormire in Rifugio,
mi raggiunge al mattino seguente, per un caffè sorsato
tra i gerani di Alagna, come prima di iniziare la salita.
ALLA SCOPERTA DEL PARADISO
di Claudio Aimone
Non sempre, quando andiamo a volare, conosciamo l'ambiente
naturale che ci ospita ed I problemi ad esso collegati.
Ecco allora che il racconto quasi solo accentrato sul volo,
diventa un ottimo pretesto pe rparlarci di questo luogo.
Il Parco del Gran Paradiso è considerato fra i principali
d'Europa, e non solo per il suo più importante ospite,
lo stambecco, ma soprattutto per la maestosità dell'ambiente,
il cui centro è idealmente rappresentato dal Gran
Paradiso con i suoi 4061 m d'altezza, e per la gran varietà
della vegetazione, favorita dalle più svariate condizioni
esistenti tra valle e valle e tale da rappresentare nel
suo insieme la maggior parte dei componenti la cosiddetta
Flora alpina, raccolta presso il Giardino Alpino "Paradisia"
di Valnontey, aperto al pubblico nei mesi estivi. Lo stambecco
(Capra ibex ibex L) rappresenta l'emblema del parco, appartiene
alla famiglia dei Bovidi, ha forma simile ad una grossa
e robusta capra, con pelame folto di colore variabile, grigio
fulvo d'estate, corna corte e esili nelle femmine, falciformi
e lunghe sino al metro nei maschi. Vive in branchi, separati
secondo il sesso, e solitamente le femmine còn i
piccoli rimangono più in alto. Il parto avviene a
maggio, dopo circa sei mesi di gestazione, sopra il limite
dei boschi, dove preferisce i terreni rocciosi sui quali
si muove con straordinaria abilità. Il camoscio (rupicapra
rupicapra L.), ci coabita tranquillamente, appartiene alla
stessa famiglia ed è di mole più piccola,
con corna corte e sottili, ricurve all'estremità,
pellame marrone scuro, e per la sua natura più diffidente.
Contrariamente allo stambecco, è abbastanza difficile
da avvicinare. Gli altri animali maggiormente presenti sono
la marmotta, (roditore dall'istinto sociale iper sviluppato,
raggiunge i 7 kg di peso ed è famoso per le complicatissime
tane, vere case anti alluvione e anti predatori), i rettili,
piccoli carnivori appartenenti alla famiglia dei mustelidi:
ermellino, martora, faina puzzola, tasso, mammiferi come
la lepre bianca, la volpe, l'arvicola delle nevi, il cinghiale
e il capriolo. Anche l'avifauna si presenta interessante
con il gallo forcello o fagiano di monte, la coturnice,
la pernice bianca, la poiana, i gracchi, il gufo reale e
la maestosa aquila reale. Fra gli altri uccelli che nidificano
nel Parco ricordiamo i picchi, l'allodola, il merlo, la
rondine montana, il pettirosso, la ballerina, il balestruccio,
la cincia, il cuculo, il culbianco e il sordone. In ogni
stagione il Parco offre possibilità diverse. La tarda
primavera e l'estate sono i mesi della fioritura e delle
escursioni in alta quota. In autunno si colorano i boschi
e per stambecchi e camosci inizia il periodo degli amori,
mentre d'inverno il territorio si ricopre di neve. In quest'ltalia
che ecologicamente, e purtroppo non solo, va a rotoli, il
Parco Nazionale del Gran Paradiso resta una delle ultime
oasi di benessere, sopravvive dibattendosi tra mille difficoltà
burocratiche e pochi soldi di finanziamento, grazie soprattutto
all'amore di chi lo gestisce. Nella vita delle guardie e
nella gestione del Parco ci s'imbatte continuamente in dramatiche
carenze di denaro: un tempo esistevano i cavalli, che ora
sono stati eliminati per esigenze di bilancio. Circa la
metà delle guardie hanno come unica compagnia un
cane, generalmente un pastore tedesco. Per un certo periodo
erano armate con i fucili Colt, che una legge li ha obbligati
a consegnare, perche considerati da guerra (Va comunque
detto che non tutte le guardie sono favorevoli a girare
armate). I camosci egli stambecchi uccisi ogni anno dai
bracconieri sono ancora centinaia, ma i rapporti con i guarda
parco sono mutati negli ultimi tempi: fino a poco fa partivano
facilmente i colpi di fucile, ma senza mai uccidere nessuno.
Vi furono attentati pesanti compiuti con candelotti di dinamite
posizionati contro i casotti o nascosti nella legna per
far saltare in aria la guardia. La figura del bracconiere
è decisamente mutata, adattandosi al nuovo. Gli anziani
non hanno nessuna vergogna nel dire di aver ucciso nella
carriera infiniti capi, anzi è spesso un motivo di
vanto. (Si racconta solo a carriera terminata, altrimenti
si può incorrere in "soffiate") Per quanto
criticabile era una lotta ad armi pari tra il bracconiere
e la guardia, fatta di levatacce all'alba, di appostamenti
estenuanti, dormendo per giorni all'addiaccio, di avvicinamenti
sottovento all'animale, di furbizia e spesso anche di ingloriose
sconfitte. Oggi anche il bracconiere non ha più voglia
di faticare e preferisce appostarsi nel fondovalle per sorprendere
gli animali che calano spinti dalla fame, sparando, com'è
già successo, dalla macchina o dalle finestre di
casa. E' miracoloso il fatto che, malgrado gli attentati
e una scarsità paurosa di personale, la fauna del
Parco non diminuisca, ma tenda ad aumentare: forse è
la natura che qui vuoi prendersi una rivincita per essere
stata troppo umiliata altrove. Delineata una traccia dell'ambiente
Parco, necessaria per capirlo e viverlo, passiamo brevemente
alle sue radici ed alla storia alpinistica. Il Parco del
Gran Paradiso trae le sue origini dalle Regie Patenti emanate
il 21 settembre 1821 dal cavalier Thaon di Revel, luogotenente
generale di S.M. nei Regi Stati, con cui si proibiva la
caccia agli stambecchi. Solo in seguito re Vittorio Emanuele
Il costituì una Riserva Reale di caccia che comprendeva
le Valli di Champorcher, di Cogne, la Valsavaranche e la
Valle dell'Orco. Il lavoro svolto da una cinquantina di
guardie, consentì agli stambecchi di moltiplicarsi
rapidamente nonostante le numerose battute reali. Nello
stesso tempo fece costruire sentieri e mulattiere che costituiscono
ancor oggi il sistema viario per la protezione della fauna.
I montanari si sono disinteressati completamente delle cime
più alte, attratti maggiormente dalle strade, dai
passi, dai boschi, dai pascoli e dai valloni, dove poteva
smarrirsi il bestiame o dove si poteva cacciare la selvaggina.
... Rispetto altri gruppi montuosi le esplorazioni sono
iniziate molto tardi, circa versa la metà dell'ottocento,
a causa della posizione decentrata e poco appariscente.
Bisogna aspettare il 1867 per registrare un avvenimento
di una certa importanza (la prima salita alla cima è
del 1860): la pubblicazione di un accurato studio geografico
della zona, redatto da M. Baretti, che diede impulso al
fenomeno esplorativo italiano. In seguito all'arrivo dei
camminatori stranieri, che spesso assoldavano le guide locali,
qualche precursore delle moderne strategie pubblicitarie
s'inventò, riuscendo quasi a farlo, la salita sino
in cima in compagnia dì un fedele asino, per dimostrare
quanto fosse semplice e accessibile il tracciato (chi conosce
l'animale sa che non è affatto stupido). Il Gruppo
culmina con l'omonima vetta a 4061 metri, l'unico "quattromila"
interamente in territorio italiano. La via normale di salita
sul versante ovest, con pochi crepacci, è probabilmente
l'unica di tale altitudine nel panorama alpino così
comodamente camminabile (è considerata anche una
classica sci-alpinistica). Nell'affrontarla occorre tuttavia
tenere conto di alcuni fattori: la notevole altitudine,
appunto, e la conseguente rarefazione dell'aria, l'esposizione
verso ovest da dove spesso soffia un vento gelido, e infine
la lunghezza del tratto tra il rifugio e la vetta. Solo
pochi metri prima della cima, rocciosa e sormontata da una
"Madonnina", si supera un tratto a picco sul ghiacciaio.
Eccezionale il panorama che si ammira: dal Monte Bianco
al Cervino, dal monte Rosa a tutte le Alpi Graie, dal Monviso
al Delfinato. L'itinerario di salita generalmente è
articolato in due giornate.
Lasciata la macchina nel piazzale di Pont Valsavaranche,
si attraversa il torrente ancora immersi nella vegetazione
di larici e pini per proseguire sul frequentatissimo sentiero,
dove poco a lato pascolano tranquilli, oramai abituati alla
presenza dell'uomo, diversi stambecchi. Il rifugio non è
visibile sino all'ultimo, e si raggiunge in circa un'ora
e mezza. Non essendo io un Re, cui era concessa ogni delizia
diurna e notturna, consumata la cena ho dormito con il mio
fedele amico e fotografo Beppe al fianco, sprovvisti di
talamo, ma nel lusso di una cameretta a due. Il secondo
giorno, lasciato il rifugio verso le 5, procediamo in direzione
nord sino a raggiungere la lingua terminale del ghiacciaio,
che in modo impressionante si ritrae di anno in anno. Seguendo
le marcate tracce di passaggio scavate come scalini di una
qualche gradinata, risaliamo confortati dal cielo terso,
e praticamente dall'assenza di vento, tra decine di cordate,
qualcuna con bimbi giovanissimi. Nella salita, un solo tratto,
la cosiddetta schiena d'asino, è percorso obbligato,
altrimenti si può sorpassare a destra e a sinistra
come nelle strade americane. Raggiunta la crepaccia terminale,
brillano al primo sole mattutino le roccette finali in coincidenza
dell'esposto ma facile passaggio. Ed eccoci prossimi alla
vetta, dopo circa quattro ore. Questa è la volta
in cui incontro meno vento, nullo sui pendii e proveniente
con raffiche irregolari da destra, discendente in cresta.
Mi sembrerebbe di non cogliere una possibilità rara
se dovessi abbassarmi per il decollo, e aspetto.
Altre volte sono sceso dalla cresta 100 o 150 metri, e ricordo
con particolare piacere, verso gli anni '90, l'avventura
con l'amico Loris il giallo, soprannominato cosi per via
di un certo abbigliamento che oggi utilizza solo più
a funghi, quando surfò dalla vetta al rifugio con
una tavola autocostruita dopo mesi di lavoro in cantina,
e qualche paio di sci avuti in prestito segati in metà
per copiarne la struttura. Ci trovammo, lui dopo la surfata
ed io dopo il volo, al rifugio Vittorio come convenuto per
mangiare insieme un piatto di pasta, e questi momenti riempiono
stomaco e vita. (era verso fine maggio, con ancora molta
neve per atterrare e ripartire dal rifugio). Evidente il
fenomeno tipicamente estivo osservabile dalla cima: dopo
il sorgere del sole, l'atmosfera del versante valdostano
è di norma limpida, mentre formazioni nuvolose consistenti
salgono dalla Valle di Locana, e si fermano in cresta al
confine tra la regione piemontese e valdostana. La causa
è dovuta alla maggior apertura a est della Valle
di Locana, che riceve i venti umidi provenienti dall'Adriatico
e dalla Padana, e incassandosi nelle valli piemontesi più
larghe a oriente si condensano per raffreddamento in abbondanti
vapori e spesse nuvole. L'azione meccanica del ghiacciaio
in movimento combinata alla forza eolica modificano costantemente,
almeno a queste altezze, la struttura del manto nevoso,
e mai mi è sembrato così poco pendente, invitante,
di super-lusso rispetto ad esempio alla Capanna Margherita.
Qui pare di essere in campo-scuola, al cospetto di un panorama
che spazia, invitante, a 360°. Là mi coglieva,
prima del decollo. il timore di scivolare anche per un solo
passo errato sino al colle, e di dover risalire, in un ambiente
severo, verticale. Invece ora è tutto smussato. addolcito,
i pensieri corrono alle montagne intorno, sale il desiderio
di conoscerne il più possibile. di abbracciarle.
di averle nei miei sogni, di ritrovarmi ancora con l'amico
Beppe; ci sto bene quassù, ci stanno bene mente e
corpo. non si è vincolati dalla concentrazione che
annulla il mondo circostante, diventa la padrona assoluta,
ingabbia il cuore durante i momenti delicati. Per circa
una buona mezz'ora il vento debole continua dalla destra,
vanificando i tentativi. L'ala sale svogliata, rimane dietro
e non entra in portanza. Corro per pochi passi trazionando
gli elevatori, diverse volte, senza risultati apprezzabili:
più che gonfiare pare di toreare in modo ridicolo.
Mi ritrovo o con i cordini intorno alla gamba, o avvolto
completamente dal tessuto. Aspettando momenti migliori,
è piacevole osservare l'arrivo in cima delle ultime
cordate. Ognuno si trova quassù per realizzare un
desiderio personale, per arricchire il bagaglio di esperienze
positive, per creare l'alone magico di condivisione anche
senza spiegarsi con le parole verso gli altri.
DECOLLO E VOLO
Arriva l'attimo buono, la poca aria che prima infastidiva
ora sparisce del tutto, e si parte per un decollo regolare,
sorvolando ghiacciaio, morena, rifugio, vegetazione e torrente.
Atterro dopo circa un'oretta nell'enorme prato accanto al
parcheggio sull'erba ancora madida di rugiada, felice. Nell'attesa
del ritorno a piedi dell'amico Beppe immagino che sia piacevole
tuffarsi nel torrente, in quell'elemento che più
in alto è ghiaccio, che si fa calpestare con i ramponi,
e man mano che l'altitudine diminuisce inizia asciogliersi,
forma rigagnoli e pozze, si ridistribuisce gratuitamente
alla vita. Nel corso del pomeriggio abbiamo fatto un bellissimo
bagno nelle sue acque.
UN'ALA SU BROSSO
Racconto di Goffredo Carri
A Claudio Aimone , il mio pilota;
a Nicola,che gli ha imprestato il biposto;
a Paolo, autista 30 e lode della navetta "EDEL",
e a tutti ragazzi del Parapendio Club Cavallaria.
Con simpatia.
Una breve uscita mattutina da casa per un pò di spesa,
un caffè , il giornale, quattro passi ai giardini
nel pomeriggio, un'oretta di televisione alla sera, mal
di schiena, la sciatica, degenerazione della retina, problemi
di prostata, funzioni mentali ridotte, tono dell'umore piuttosto
depresso, coordinazione oculomotoria soggetta ad errori,
rapporti sociali pressoche nulli: una vita da vecchio ma
vecchio forte. Una non vita. Tutti i giorni eguale. Che
merda.
Ma ieri 27 luglio mi è capitata una cosa nuova fiammante
, una cosina giovane giovane, che ha del meraviglioso (
ma non per mio merito ).
Ieri sono andato in parapendio, giù dalla Cavallaria
, alla non più fresca età di anni settantadue.
Il cielo un cielo colore marino era di una dilagante bellezza,
e il sole era un'esplosione di luce ed energia. Nuvole sparse
si schiudevano come un fiore. Il parapendio creatura alata,
flessibile, figlia dell' aria pulsava come un cuore, respirava
profondo in un silenzio, sospeso e vibrante. Volava lieve
sul verde cupo dei boschi, ondeggiava pian piano, alto su
nereggianti pietraie, su scoscesi avvallamenti, su nudità
rocciose, su campi verdeggianti.
Nel caldo meriggio ci soffiava in viso il fiato dell'estate.
Orizzonti sconosciuti a chi viaggia in autostrada inviavano
messaggi visivi. Ecco Brosso sotto di noi, ecco a dritta
Vico, e Montalto Dora e Chiaverano a sinistra, ed ecco la
Dora color vetro lucente e, in una lontananza pallida, quasi
color giacinto, la piana di Ivrea.
Che vista! Altro che un posto in prima fila.
Paura ? No. Ma emozione tanta. Non saprei dire esattamente
quel che provavo nel trovarmi li appeso a centinaia di metri
dal suolo. Ero pieno di stupore per la rivelazione di quel
panorama stupore abbastanza naturale, visto che dalle mie
consuete uggiose stanze ero stato proiettato in una nuova
dimensione, a 1500 - 1700 m di quota.
Come è angusto deve essere stata la mia prima impressione
come è angusto lo spazio in cui normalmente ci muoviamo
e siamo. Dunque - dicevo - ero fortemente sorpreso ma al
tempo stesso mi sentivo al sicuro e tranquillo. Per la verità,
poichè devo dirla tutta, ero talmente sicuro e tranquillo
che allorchè Claudio mi offrì di prendere
i comandi io risposi "meglio di no, non vorrei combinare
guai". Poi però provai una viratina a destra
e una a sinistra, ma timida timida, che non si guasti l'ombrellone.
Evidentemente mi percorreva una vena di apprensione.
Ma che devo dirvi, quell'ampiezza, quella vastità
d'orizzonti, quella profondità avevano dell'indicibile.
Avvertivo di stare vivendo un'esperienza di cui avrei serbato
memoria per il resto dei miei giorni. lo ero sempre io,
ma con qualcosa in più (non so come dirlo altrimenti).
E poi quel silenzio! Ampio, solenne.
Silenzio antico, ch'era prima che il mondo fosse, che di
ogni cosa creata è l'Alfa e l'Omega. Ma guarda. come
sono piccole le case, le auto, le strade, da bordo di un
parapendio. Come è piccolo - un niente - l'Uomo,
visto, o, più esatto, non visto, ad appena tre spanne
da terra.
Intendo significare che in parapendio realizzi meglio il
senso della dispersione planetaria dell'Uomo, della sua
nullità. Si, ma quant'è bella la Terra, vista
dall'alto. E' cosa che desta mirabilia. Peccato non potere
deporre per sempre laggiù tutti i problemi che ci
assillano e il pesante fardello di ricordi non buoni. Mi
mancava - chiaro - tutto ciò di cui dovrebbe essere
colmo il cuore in parapendio: l'allegria, la gioia di vivere,
ma questo sarebbe ben altro discorso, quindi lasciamo perdere.
Però è fantastico. It is magic !
Non sei più rettile, in parapendio.
Uno che striscia sulla terra. Un animale terricolo.
Sei una vela nel cielo, sei albatros , veleggiatore, aliante
, navigatore , un vagabondo dei cieli, il continuatore dei
coraggiosi che nel Medioevo e nei secoli più tardi
si lanciavano da una torre o dalle mura di un castello nel
tentativo di volare.
Tu sei il beneficiario di tutta l'esperienza da loro acquisita
nel corso degli anni. Tu ne condividi, ne possiedi lo spirito
di avventura, ricerca, sperimentazione. Certo che il parapendio
bisogna amarlo. So di ragazzi che al parapendio dedicano
tutto il loro tempo libero (tempo permettendo) e i loro
soldi (magari non tanti) , che si fanno 100-200 km e più
di macchina (quindi ore) paghi poi di venti minuti di volo.
La tua vita nelle tue mani.
E chi lo conosce l'impegno di tanti ragazzi per comprarsi
il loro parapendio ? E le loro discussioni coi genitori,
oddio, mia figlia (figlio) è matta' (matto) !
Ecco, questo è amore. Intuisco infatti come il parapendio
possa farti innamorare al punto che quando ci sei sopra
per te non esiste più nient'altro nella vita. Come
ci si possa sentire proprietario di tutto senza magari possedere
niente. Ma perchè questo avvenga bisogna crederci,
appunto. Mi informano che in Italia i parapendisti saranno
cinque-seimila. Io spero che siano in tanti quelli che lo
fanno veramente con passione. Che siano pienamente convinti
che esiste altro oltre la scuola, l'ufficio, la catena di
montaggio, la promozione sociale, l'ascesa gerarchica, la
proprietà di oggetti.
Ben detto, bravo. Ma non è un po' utopia ? Può
darsi.
Ma che almeno il parapendio sia una delle possibili vie
di fuga dalla monotonia e dagli automatismi della vita quotidiana.
Per uscire dai binari. Per vivere se stessi in una dimensione
più umana. Per sentirsi più oscuramente uniti
al cosmo. Con l'augurio che il parapendio non diventi mai
solo abitudine, mestiere, sport con un pizzico di rischio.
Ma che sia sempre fantasia, conoscenza, letizia.
Il piacere di inventarsi una vita diversa.
Sul parapendio sei un solitario , un isolato, sei fuori
dal formicaio, fuori dall'orda. L'isola deserta nei Mari
del Sud non c'è più. E tramontato il tempo
del capitano Cook. Per sempre è tramontato. Ma tu,
una tua isola deserta te la puoi ritagliare nei cieli. Basta,
diceva Henri Laborit, che tu salga sul vascello che ha nome
Desiderio. Contrariamente a quello che altri pensavano non
mi è servito assolutamente a niente l'essere stato
paracadutista durante la seconda guerra mondiale. Lo immaginavo.
Di più sapevo solo che non sarei morto dalla fifa.
Non altro. D'altronde lo sanno anche i passeri che il paracadute
è cosa ben diversa dal parapendio.
Te le sogni le ampie volute sulla cresta dei monti. In paracadute
vieni giù e basta. Non "voli". Altra notazione
banale, risaputa anche questa: il paracadute, militare era
-allora come oggi- uno strumento di guerra, una medusa di
morte.
Il parapendio è pace, vita.
Eh, ma sono in gamba, io. Cribbio se sono in gamba. Ascoltate.
Forse il parapendio atterrava troppo veloce per le mie gambe,
che (ovvio) non sono più quelle di cinquant'anni
fa ; o forse si è trattato di semplice non prontezza
di riflessi (chiamala semplice, con tutto ciò che
essa comporta in deficit psicomotorio: mancanza di controllo
del tono e delle funzioni muscolari, imperfetta coscienza
globale e segmentaria del proprio corpo, difficoltà
di concentrazione e quindi facile distraibilità,
e altro) fatto sta che sono venuto giù come un baccalà,
giù a peso morto come un sacco di patate sulla mia
artrosi lombo-sacrale, ragazzi, ho preso una culata di quelle,
!
Beh , comunque ce l'ho fatta.
Quasi quasi ci riproverei.
"Accidenti, hai avuto un bel coraggio, però!"
mi è stato detto.
No, no. Nel mio caso, nessun coraggio. Solo un residuo della
beata incoscienza dei miei vent'anni.
Goffredo Carri
DEL CORPO E DELLO SPAZIO
Racconto di Goffredo Carri
Non mi ci è voluto molto a capire perchè nel
mio volo in parapendio sono atterrato che parevo ingessato.
Un viluppo di lacci psicologici, oltre che fisici.
L'argomento è di ordine generale, pertanto mi si
consenta un accenno.
Se uno nella vita di ogni giorno è impastoiato, il
suo corpo non può sciogliersi liberamente. Sarà
sempre, in qualche modo, inceppato. Il nostro corpo è
espressione del nostro essere al mondo. Noi siamo il nostro
corpo ed esso è il nostro modo di sentire il mondo
ed esprime come noi ci mettiamo in relazione col mondo.
Cioè il corpo è significato che è in
stretta correlazione con ciò che noi avvertiamo del
mondo. Tutti i nostri movimenti - della testa, delle braccia
, mani, schiena, gambe, e lo sguardo - sono espressione
ed hanno un significato semantico, infraverbale come camminiamo,
come stiamo seduti, e così via.
E ancora: il posto in cui ci poniamo nello spazio e nei
rapporti con l'altro non è mai casuale, posto che
si possa scegliere, chiaro.
Conclusione: se siamo disturbati dentro, tutto il nostro
comportamento risulterà disturbato. Le nostre possibilità
di movimento sono nel cono d'ombra del nostro intrico interiore
, e pertanto bloccate. Come succede al mare al bambino in
cui è stata indotta la paura dell'acqua, e così
il bambino perde la proprietà dell'acquaticità
, che pur possiede, e così perde uno spazio, un contenuto
d'istruzione. Pensiamo viceversa alla gioiosità che
c'è nei movimenti di certi animali (osservare come
il movimento si trasmette a tutto il corpo, come non viene
arrestato in nessuna parte).
Il volo richiede equilibrio, attenzione, destrezza, stabilità
mentale. Se qualcosa vien meno, la faccenda non funziona.
Ombre graveranno nei movimenti nel volo. Lo spazio come
contenuto d'istruzione, dicevamo più sopra a proposito
del bambino. Appunto. Canone fondamentale: ogni realtà
è realtà spaziale. Ed è con il corpo
e attraverso il movimento che ci si mette in relazione con
lo spazio. Detto un tantino più per esteso: è
intorno al corpo e dal corpo, cioè in riferimento
ad esso che si stabilisce l'organizzazione dello spazio,
e questa conquista dello spazio è obiettivata dall'esperienza
muscolare e cinestetica (anche la valutazione del Tempo
e del vocabolario spazio-temporale - dipende dalla capacità
motoria e dal controllo motorio di sè ). A mo' d'esempio
sullo spazio come contenuto d'istruzione diciamo che se
una termica - ma già una termica insegna - se una
termica ti concede di poter intrecciare ampie ghirlande
d'aria sulla cresta dei monti, tu puoi vedere le mandrie
sugli alti pascoli, le malghe , i precipizi, puoi udire
stridere il falco , e gioire sul tuo viso della bontà
dell'aria, e mirare in un'acqua specchiarsi l'immagine del
parapendio. Cioè tu diventi un ricevente: la pietra,
il prato, la valle, il bosco, l' acqua, l' aria, i colori,
le nubi ti convogliano informazioni, stimoli sensoriali
ripetuti, o impulsi, e questi impulsi non solo parlano al
tuo cuore primigenio - l'homo erectus, l'homo abilis, l'homo
neanderthalensis, I'homo sapiens sono nostri contemporanei
- ma aprono sentieri in tè, costruiscono circuiti,
stampano schemi o engrammi nella tua compagine cerebrale,
ed è da questi schemi o engrammi che si arricchirà
l'immaginazione, madre della creatività.
Cambiamo binario, pur rimanendo nella stessa stazione. Se
vuoi andare a Berlino o a San Pietroburgo non prendi il
parapendio. Prendi l' aereo. Ma cosa vedi, da 5-8000 metri
? Certo, vedi i grandi fiumi rigare la terra, puoi vedere
le vette delle montagne emergere come isole da un mare di
nebbia, rilucere il mare, puoi vedere aprirsi la porta del
giorno o nuvole fiammee tingere il tramonto, o la terra
sommersa dalle nubi. La vista non ha eguali , è fuor
di dubbio. Ma troppo veloce è l'aereo. Vedi le cose
di fretta, cioè male. Cioè non le vedi. Vedi
I'insieme, non vedi le parti. Non distingui l'una dall'altra
valle, non vedi la nuvola che varca il monte, non vedi I'ombra
giocare con la luce su quel versante, non puoi calibrare
le distanze, non puoi ammirare come è scolpita quella
rupe , non puoi bere l'incanto di quel torrente che scende
a valle.
In parapendio al contrario puoi leggere il terreno quasi
metro per metro, come un'arte di cesellatura. Vedi sorpresa,
il vantaggio di andare lentamente. In più, ah che
respiro! Altro che un posto in prima fila.
Vai, ragazzo! Innumeri fibre ti legano alla natura.
Vai , ragazza! Nel tuo cuore fresca è la vita.
In volo non c'è nessuno che ti rompe le scatole,
quindi sei più felice, o almeno meno infelice. Anche
solo salire in zona lancio è come uscire da una paralisi
, per chi viene dalla città. Nelle città per
che cosa si cammina ?
Per andare a scuola, per andare a lavorare, per andare a
comprare pane e salame. Quante persone camminano perchè
ne hanno effettivamente voglia ? Quante ne farebbero volentieri
a meno ? Quante persone camminano con gioia ? In città
il più delle volte io non ho nemmeno più voglia
di camminare. Non c'è nulla che corrisponda al mio
animo. Sulla cima della Cavallaria invece, l'erba l'erica,
le genziane, i mirtilli l'aria fresca e chiara, il muschio
le rocce - ere geologiche - tutto corrispondeva al mio animo.
Accidenti, come si stava bene !
Goffredo Carri
OLUDENIZ - TURCHIA
di Renato Sartore
VACANZA DI VOLO
CON MEDICI SENZA FRONTIERE ...
VOLABILI
Da una proposta timidamente sussurrata in atterraggio, mentre
si compie il rito del "ripiegare la vela " al
volo sul mare di Olu Deniz in Turchia, il passo nonostante
tutto e' stato miracolosamente breve. Olu Deniz ? Si'! In
Turchia... sai Enrico mi ha proposto ...viene anche Tommaso
...Aereo-albergo-famiglie in parking, ufficio... tutto sistemato.
Inizia il conto alla rovescia. ...
E siamo alla Malpensa che arrotoliamo le vele nel domopack
Sai le bambine devono viaggiare sicure!
Via in vacanza con due medici volatili "senza frontiere
volabili': Enrico (quarta volta in Turchia) medico di Torino,
Tommaso detto Tomaso"" (con un po' di accenti),
anche lui della sanità, inventore involontario del
tipico decollo.. ..alla Tomaso"'. Niente a che vedere
con quello tipico all'italiana o alla francese ...qualcosa
di diverso ...un decollo senza frontiere! Tom ha già
volato in Francia, Svizzera, Marocco, Grecia, la Reunion.
In vacanza con due medici quasi l'assicurazione sugli incidenti,
una formula di garanzia, ...ma Tommaso e' un esperto in
autopsie !! Oh!oh! (p.s. È andato tutto bene) Malpensa-Istambul
Istambul-Dalaman poi via con pulmino dell'albergo che ci
aspetta e che in 45 minuti ci porta ad Olu Deniz. E' quasi
buio in questo sabato turco, la strada tortuosa. Ma gli
occhi cercano il cie!o e le nuvole, un monito per il domani
il mattino successivo lo spettacolo delle montagne e il
mare ci da la consapevolezza che ci siamo!
Con la navetta, tuoristrada americano aperto posteriormente
ed attrezzato con comodi sedili imbottiti e portapacchi
per le vele sul tetto, si parte per il decollo. Si sale
per circa 27 km. Verso il Monte Babadag (il monte "padre"),
attraverso un parco naturale di secolari cedri dellibano
e pini di Aleppo. Il sottobosco di ginepri, i cui aromi
salgono con le termiche e li percepisci anche in volo.
l decolli principali sono due.11 primo rivolto a nord a
1950 m t , il secondo a sud 1600 m. Attenzione nello spiccare
il volo! l cor- dini dell'ala possono impigliarsi tra rocce
taglienti, (avevi ragione Emo attenzione ai cordini!). Poi
via lungo il costone, si passa sopra il decollo basso e
la termica si fa già sentire. Con pochi giri sei
in alto . Superata la cresta, lo spettacolo della baia,
della laguna, delle isolette è da mozzafiato. Il
colore va dal blu intenso al turchese più brillante
del mare, al bianco della spiaggia. 11 tasso di caduta è
stranamente basso e in planata tranquilla si sta in aria
almeno 45 minuti. Da 1950 m, al mare Cervinia-Albenga! In
volo c'è tutto il tempo e la serenità di guardare
attorno, lasciare i comandi e fare foto. Si vola sull'altopiano
che porta al mare per osservare le capre libere che si nutrono
dei cespugli, osservare i ruderi romani o le tombe licie.
Oppure facendo il "pieno" in decollo tirare a
sinistra ed andare verso la baia delle farfalle o dritto,
verso l'isola con il monastero, oltre il promontorio e passare
sopra i caicchi turistici e le barche a vela ...nel pieno
silenzio. Affascinante è volare sulla laguna di Olu
Deniz (che significa mare morto), porzione di mare racchiusa
da una lingua di sabbia incastonata di colorati ombrelloni.
Qui storicamente, i romani si approvvigionavano di acqua
dolce, la zona ne e' ricchissima. Vi lasciarono anche un
tempio, ora in rovina . Stupefacente l'organizzazione del
posto per noi volatili. E' il paradiso del volo libero.
Tutto è in sua funzione. Le compagnie di trasporto
in decollo sono 9 ognuna con un certo numero di provetti
bipostisti dalle notevoli capacità' (1800 biposti
l'anno!).
In decollo ci sono le webcam così in atterraggio.
Riprendono costantemente e a volte impietosa mente tutti.
Anche se Tommaso tenta di far ricorso alla legge sulla privacy...che
in Turchia non è valida. E trasmettono in diretta,
sui grandi schermi del "cloud9'; bar della spiaggia,
locale gestito da Kadri, organizzatore del festival dell'aria
di ottobre 2002, e ritrovo dei parapendisti. Spettatori
occasionali, accompagnatori, addetti ai lavori sono costantemente
informati sugli eventi in decollo e atterraggio.
Il tutto è registrato e alla sera puoi rivedere,
seduto davanti ad una birretta, il riassunto delle peripezie
con relativi aned- doti sulle manovre ...irregolari. Morale
non si possono raccontare "balle" all'amico di
turno sul decollo poco ortodosso, ritorni al pendio inesistenti,
incidenti evitati in extremis grazie alla perizia del pilota
investito da una raffica improvvisa quanto birichina. (Vero
Tommaso?). Tutto registrato, tipo processo di Biscardi.
Atterrando in spiaggia i ragazzini ti rincorrono, ti prendono
vela ed imbrago e per pochi soldini ti puliscono il tutto
dalla sabbia e ripiegano. Nel frattempo ti fai un bel tuffo
in mare o ti bevi una coca. Non male! Il paese è
tranquillo e pulitissimo, lavano i marciapiedi due volte
al giorno. Non c'è una cicca per terra e...qui fumano
come turchi! Ma siamo in Svezia ?..No! In Turchia!
Ristorantini con simpatici camerieri che si sforzano di
parlare italiano, il cibo ottimo. Una vacanza con i fiocchi
con i miei amici medici senza frontiere... volabili. Enrico
l'organizzatore, Tommaso il francofilo, Livio di Albenga
incontrato casual- mente in decollo, anche lui in vacanza
con la moglie (volo e mare per accontentare entrambi). Ciao
Livio parapendista del Tigullio, il raschia costoni, abitudine-obbligo
delle sue parti. Grazie a tutti! E che si possa ripetere
con questa semplice serenità nella cornice di uno
spettacolo naturale come quello di Olu Deniz. Non ci serve
altro.
Turisti per caso
di un viaggio a Maggio... senza pretese ma con grandi risultati
di Renato Sartore
Quando l'idea?
Non ricordo esattamente quando o perchèci venne in
mente l'idea di questo viaggio. Forse una tra le tante con
i programmi che ogni volta che ci si vede o si telefona
viene espresso: voli in montagna, il viaggio in Africa.
.. No, non ricordo proprio... forse anche dargli una datazione
non mi importa più di tanto. Quello che vorrei è
che nessuno di noi partecipanti si scordasse questa esperienza.
Forse solo ora che è terminata ci sentiamo coscienti
di quello che abbiamo vissuto.
Dove?
La Sicilia, quest'isola così vicina ma per tanti
così lontana è stata la meta. La Sicilia è
una regione meravigliosa come i suoi abitanti. Non avrei
mai detto di andarci, io così presuntuoso, ignorante,
pieno di preconcetti.
Con chi?
Partecipanti: club "Voi au Vent" della Vai Pellice
e club "Sparavel" di Ivrea Hanno condiviso questa
sperienza e dimostrato come tra club si può fare
molto dimenticando tutte le stronzate che anche l'attività
volo-liberistica si porta dietro, cercando solamente il
bello. ..per tutti!
Organizzazione "Fly Tour"
E così finalmente si parte. Appuntamento alI'aereoporto
di Caselle a Torino: tutti increduli, il viaggio in Sicilia
è cosa vera! Appena arrivati il pulmino dell'Accademia
Siciliana Volo Libero di Adriano Patti, l'istruttore di
parapendio che organizza il tour, è già lì
ad aspettarci. Sì perchè Adriano organizza
tutto: trasporto da e per l'aeroporto, albergo, gite anche
per i non volatili accompagnatori (mogli, figli, amici).
. Siamo stupiti dell' assoluta mancanza di preoccupazioni,
niente problemi di taxi, bus, o altro... c'è Adriano
sempre... no problem, no sbattimenti, no rotture c'è
Adriano... abbiamo scelto le spiaggie e i ristoranti (sempre
di pesce) seguendo i suoi consigli. La vacanza è
stata favolosa e ottirnamente strutturata in tutti i sensi;
la consiglio anche agli accompagnatori, infatti ha partecipato
anche mia moglie che di volo proprio... non aveva mai visto
un parapendio in decollo. .. Bene, non ha rotto e non si
è mai lamentata (è uno dei miracoli della
Sicilia. ..) anzi, si è molto divertita: nuotate,
tanto sole e il primo volo in biposto da monte Kumeta a
San Cipirrello andata e ritorno. ..il tutto offerto dal
super Adriano. ..
Costo?
Onestissimo. ..Cosa devo dire di più?
Cronaca?
Fame una cronaca, un resoconto che possa farvi consapevoli
di questa esperienza non è cosa facile, rischio di
essere riduttivo. Ma i posti meravigliosi che Adriano, istruttore
di volo di Palermo, ci ha mostrato meritano uno sforzo.
E non soltanto luoghi di volo, ma bellezze artistiche di
tutte le epoche e testimonianze dei popoli che hanno conquistato
quest'isola. Devo quindi incidere questo foglio con un po'
di timore reverenziale e in ogni caso non darò onore
al merito, non dirò abbastanza.
I voli
Decolli per tutti i gusti e per tutti venti, per tutte le
ore: da monte Kumeta, Montagna Grande, Pollina, Rocca Busamhra,
Cefalù, a Pizzuta soaring meraviglioso lungo le scogliere...
Paesaggi incantevoli e rilassanti, panorami amichevoli.
.. Con assistenza al volo di Adriano e del suo amico, Claudio
Aimone anche lui istruttore (scuola Sparavel), tanto che
persone con scarsissima esperienza si sono girate termiche
pensando che Rohhhie W. (leggi Rohhie con tre "h",
come da pronuncia di Adriano) è sicuramente emulabile...
(calma pollo!).
Personaggi
Cordiali i volatili della zona e non, che si sono uniti
a noi: da Alessandro, allievo (che vola da esperto), a Franco
a Gianni a Matteo, Carrnen e la CO 2, Ezio e Rino il Toscano
che vola con il segnaenniche (attrezzo di sua invenzione...mi
sa' di acchiappa-fantasmi, ma lui dice che funziona... e
se lo brevettasse?). Mirnmo con il suo ristorante di pesce
che ancora sogno. E tutti gli altri, di cui dimentico il
nome ma non il volto.
Grazie
...di cuore ad Adriano Patti che per noi si è fatto
un mazzo tanto. .. Non è così facile trovare
una persona che fa del suo lavoro ùna passione intensa
e viva, correlata da una profonda conoscenza della sua terra
e della aerologia dei singoli luoghi, mettendo ogni volta
tutto in discussione, provando il volo per primo. E non
scorderemo il gesto di non uccidere lo zanzarone che entrò
nel pulmino (bianca casa mobile per la settimana), ma lo
accompagnasti con delicatezza alla ricerca del finestrino
(non credo a questa gentilezza solo perchè anche
lui volatile. ..). Non dimenticheremo i racconti di vita
nelle campagne al tempo dei feudi siciliani, i racconti
dei tuoi primi voli e la storia delle neviere, i freezer
dei nostri nonni, così come il profumo intenso dei
fiori e degli alberi con i loro colori. Grazie all'ospitalità
del Residence S.Giorgio alla Piana degli Albanesi, gestito
da appassionati di volo e alla vicina pasticceria dove,
a causa della bontà dei cannoli siciliani fatti al
momento, qualcuno (leggi Elmer) decollando da Monte Kumeta
pensò bene di atterrare lì vicino. ..contando
sul sicuro recupero. ..
Ma quando si torna? ...a ottobre? ...ma quanto manca? Andate
a trovare Adriano, mi piacerebbe obbligarvi!
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