Diossina o TCDD o 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-p-diossina
Recentemente è scoppiato il caso delle mozzarelle alla diossina:
prima a Campania e poi in Puglia.
Ma cosa è la diossina?
Il giorno della diossina
Si dice diossina, ma si dovrebbe dire diossine, perché ce
nè più di una. E poi non sono soltanto le diossine:
esistono anche i ploliclorobifenili. Tutte sostanze accomunate dal
fatto di portare con sé numerosi atomi di cloro, anzi di
cloro esavalente. Il cloro è una delle sostanze più
reattive esistenti, e quando un atomo riesce a reagire con tutto
o quasi, il più delle volte crea danni. Se poi è veicolato
da sostanze che si stoccano nei grassi (lipofile) e quindi possono
legarsi al tessuto adiposo, i danni sono assicurati. Diossina, in
Italia, significa Seveso, significa
Icmesa. La famigerata fabbrica dei profumi che il 10
luglio di 30 anni fa, a causa dello scoppio di un reattore surriscaldato,
durante una manutenzione, liberò una nube che portava con
sé 10, o 12, chilogrammi di diossina. L Icmesa, di
proprietà della Givaudan, a sua volta di proprietà
della Hoffmann La Roche, cioè la Roche, produceva tra laltro
triclorofenolo, impiegato per produrre diserbanti, battericidi e
altro, ed è a questa lavorazione che si deve la presenza
nel reattore della diossina. Si disse, e si dice ancora, che la
presenza della diossina non fosse soltanto un sottoprodotto di una
lavorazione, ma che in realtà fosse essa stessa uno dei prodotti
dellIcmesa, un prodotto per scopi bellici. Sì, perché
quella particolare diossina, il TCDD, fu impiegata come defoliante,
con il nome di Orange agent (agente arancio) durante la guerra del
Vietnam, dove le forze armate statunitensi la sparsero a piene mani
dai bombardieri e dai mezzi di terra. Si parla di 100 milioni di
litri o, nellipotesi più conservativa, di 72 milioni
di litri e soltanto per quanto riguarda la diffusione dallaria.
Lo scopo era affamare i Vietcong, il risultato fu una serie di morti
che continua ancora oggi.
Un cancerogeno riconosciuto
I danni causati dalle diossine sono di diversa natura. In primo
luogo, nellesposizione acuta e a grandi quantità si
producono ulcerazioni della pelle, ed è la pelle il primo
bersaglio anche delle esposizioni meno forti, con una malattia chiamata
cloracne, molto caratteristica perché si manifesta inizialmente
con lesioni simili a grandi punti neri. Detto questo,
già dal 1997 la IARC di Lione (Agenzia internazionale per
la ricerca sul cancro) lha riconosciuta come agente cancerogeno,
e due anni prima aveva fatto la stessa cosa lAgenzia per la
protezione ambientale statunitense (lEPA). Sono stati messi
in luce anche effetti sullapparato riproduttivo e quanto è
avvenuto a Seveso ha confermato
questo dato. In una ricerca pubblicata da Lancet nel 2000, a firma
di Paolo Mocarelli, del Dipartimento di medicina di laboratorio
dellospedale di Desio, si è dimostrato che lesposizione
alla diossina nelluomo, soprattutto prima dei 19 anni, determina
una minore capacità di procreare figli maschi. Nella popolazione
di Seveso colpita dalla diossina
nella fase prepuberale, infatti, si è avuta la nascita di
50 bambini e 81 bambine quando di solito il rapporto è di
106 a 100. Nello studio, inoltre, si è dimostrato che questo
effetto si presenta anche quando nel genitore vi erano concentrazioni
di diossina nel sangue molto basse.
Non fu il Vietnam, però...
E chiaro che Seveso non
fu il Vietnam, ma non si può nemmeno archiviare come un incidente
di percorso banale, ma le conseguenze vanno spiegate. Il 10 luglio
1976 la diossina liberata dallIcmesa determinò la contaminazione
di unarea abbastanza vasta; i livelli di contaminazione variavano
a in funzione della distanza dallimpianto. Allepoca
i mezzi di indagine, e le conoscenze, non erano sviluppate come
oggi, e la valutazione del livello di inquinamento fu fatta in base
alla presenza di diossina nel terreno. In base a questo criterio
si ebbe la suddivisione in tre zone: A, B e R (zona di rispetto).
Le concentrazioni medie nel terreno variavano da 15,5 a 580,4 m
g/m2 in zona A; da 1,7 a 4,3 m g/m2 in zona B; e da 0,9 a 1,4 m
g/m2 in zona R. Quanto alle persone colpite, nei campioni di sangue
prelevati al momento dellincidente tra i soggetti più
esposti di età superiore a 13 anni le concentrazioni medie
di TCDD erano pari a 443 ppt (parti per trilione) nei 177 soggetti
della zona A; 87 ppt nei 54 soggetti della zona B e a 15 ppt nei
17 soggetti della zona di rispetto. Complessivamente le persone
esposte furono 800 nell'area A, 6.000 nella B e 30.000 nell'area
di rispetto. A oggi si stima che la mortalità complessiva
non sia aumentata rispetto a quella prevista. Le cause, di morte,
però hanno avuto una ridistribuzione. Come è tipico
dopo le calamità e gli incidenti, nelle zone più inquinate
si è assistito a un aumento delle morti per causa cardiovascolari
e respiratorie, anche se qui il nesso con la diossina non sembra
esistere. Sono però aumentati anche i tumori del sistema
linfatico (linfomi) e quelli del tessuto emopoietico (le leucemie).
Nel periodo se ne sarebbero dovuti verificare 21, mentre invece
ce ne furono 35. Numeri esigui? Fa poca impressione? Si consideri
che era una piccola fabbrica, come tante ce ne sono...
articolo dl Maurizio Imperiali tratto da dica33.it
INTOSSICAZIONE DA DIOSSINE NEGLI ANIMALI DOMESTICI E DA REDDITO:
ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI
Introduzione
La storia dei composti clorurati di sintesi ha avuto inizio nella
cittadina di Midland (Michigan), ad opera di Mr. Dow, fondatore
della Dow Chemical, il quale scoprì nel 1900 il modo di separare
il comune sale da cucina in atomi di sodio e di cloro.
In un primo momento il cloro venne considerato un inutile sottoprodotto,
ma presto si scoprì come unirlo a idrocarburi derivati dal
petrolio, originando così una moltitudine di composti che,
dal decennio 1930-40 in poi, costituirono una produzione industriale
imponente di solventi, pesticidi, disinfettanti, materie plastiche
ed affini.
Questi composti clorurati, sia durante il processo produttivo che
in seguito a combustione, liberano alcuni sottoprodotti indesiderati,
tra i quali le diossine. Diossina è il nome comune usato
per indicare dibenzo-p-diossine e dibenzofurani. Si tratta di sostanze
caratterizzate da una distribuzione pressoché ubiquitaria
come contaminanti ambientali persistenti, formate da idrocarburi
aromatici legati ad atomi di cloro più o meno numerosi.
Attualmente, con il termine diossina si intende lintero
gruppo, la cui tossicità come composto viene espressa in
riferimento alla tossicità della 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina,
la più tossica, in I-TEQ (International Toxicity Equivalents).
Tra le 17 molecole la tossicità può variare di circa
tre ordini di grandezza: per individuare il valore in I-TEQ di una
particolare miscela di diossine/furani, la quantità di ogni
singolo componente viene moltiplicata per un proprio fattore di
tossicità (I-TEF) in relazione alla TCDD; i valori ottenuti
vengono quindi sommati tra loro.
Altre sostanze possiedono caratteristiche di tossicità sovrapponibili
a quelle delle diossine, come i PCB (bifenili policlorurati)
Figura 6, formula di struttura dei bifenili policlorurati (PCB)
in cui X può essere H o Cl.
e i PCP (policlorofenoli), sia a causa del loro contenuto di diossine
come impurità, sia per la struttura chimica molto simile:
tuttavia, a differenza dei furani, essi vengono considerati separatamente
dal punto di vista tossicologico.
La TCDD allo stato cristallino è una sostanza solida inodore,
di colore bianco, con punto di fusione di 307°C, termostabile
fino a 800°C, liposolubile, resistente ad acidi ed alcali. È
chimicamente degradabile in pochi giorni dalla radiazione solare
ultravioletta in presenza di donatori di ioni idrogeno (ad esempio
a contatto con il fogliame verde delle piante): se invece viene
dilavata nel terreno, si lega al materiale organico ivi presente
e viene degradata molto lentamente, nellarco di parecchi mesi
o anni (Abelson, 1983).
Tra le diossine, la TCDD è la molecola dotata di più
spiccata tossicità, esplicando una ampia gamma di effetti
specie- e tessuto-specifici come, ad esempio, induzione a trasformazione
neoplastica; tossicità a carico del sistema immunitario,
del fegato, della pelle; azione mutagena ed embriotossica, nonché
un evidente potere di induzione a carico delle monossigenasi epatiche.
Le conoscenze più recenti sul meccanismo dazione della
diossina hanno chiarito il ruolo di perturbatore ormonale
di questa sostanza, con tutte le gravissime implicazioni che ne
conseguono: di fatto la TCDD (unitamente ai suoi congeneri) possiede
la facoltà di interagire con lespressione del patrimonio
genetico delle cellule, attraverso la mediazione di alcuni recettori
(Poland & Knutson, 1982;Hoffman, 1991; Perdew, 1992; Dolwick,
1993).
Ciò determina lattivazione o la repressione di particolari
geni, interferendo con lazione degli ormoni endogeni. In questo
modo si spiega lenorme varietà di effetti indotti dalla
diossina in specie animali diverse, a seconda del sesso, delletà
e del patrimonio ereditario dei soggetti esposti, in quanto lazione
di questa sostanza dipende dalla natura e dalla quantità
dei recettori, come pure dallo stato fisiologico dei tessuti bersaglio
(es. tessuti fetali in differenziazione, estremamente sensibili
a variazioni nellequilibrio ormonale).
Le diossine ed i dibenzofurani si formano come sottoprodotti indesiderati
nella preparazione industriale di erbicidi clorofenossilici (acido
2,4,5 triclorofenossiacetico, noto anche come Agente Orange,
diserbante usato a fini bellici in Vietnam) o di composti intermedi
di sintesi di disinfettanti (esaclorofene). Questi processi avvengono
a pressione e temperatura elevate, in ambiente alcalino, ovvero
condizioni potenzialmente favorevoli alla formazione di TCDD. Inoltre,
come solvente di reazione viene impiegato glicole etilenico, in
grado di formare polimeri instabili, la cui degradazione, fortemente
esotermica, può innalzare la temperatura e la pressione nel
reattore in modo incontrollato portando alla sintesi di notevoli
quantità di diossina e con rischi di apertura delle valvole
di sovrappressione (Milnes, 1971; W.H.O., 1989).
Tale meccanismo è ritenuto causa degli incidenti di Bolshover
(UK) nel 1971 e di Seveso nel
1976 (W.H.O., 1989). In questultimo caso, a seconda delle
stime, vi è stata diffusione di una quantità di TCDD
variabile tra qualche centinaio di grammi e qualche chilogrammo,
la cui ricaduta ha provocato la contaminazione e la successiva evacuazione
di una vastissima area urbana, la strage di migliaia di animali
domestici e conseguenze sulla popolazione che saranno oggetto di
studio e di dibattito ancora per molto tempo (Biacchessi, 1995).
Nel 1971, a Times Beach (Missouri), vennero nebulizzate grandi
quantità di olio esausto, al fine di impedire il sollevamento
della polvere da strade sterrate e arene per equitazione: lolio
era stato fraudolentemente contaminato da fondi di reattore contenenti
elevate quantità di diossine, provenienti da un impianto
per la produzione di erbicidi. Le conseguenze furono molto gravi,
con estese morie di animali domestici (tra i quali 72 cavalli) e
selvatici, accompagnate da diversi episodi di cloracne nei bambini.
La cittadina di Times Beach venne evacuata nel 1981 a causa dellinefficacia
degli interventi di decontaminazione (Environmental Research Foundation,
1991).
Fonti di diossina
Le diossine di per sé non rivestono alcuna utilità
pratica, e non sono mai state un prodotto industriale. Sono tuttavia
reperibili pressoché ovunque nell'ambiente: possono essere
isolate nel tessuto adiposo di un animale dellAntartide come
nel terriccio di una foresta (Berry et al., 1993) . Ciò è
dovuto alla elevata stabilità chimica e all'uso indiscriminato
fatto nel recente passato di elevatissime quantità di prodotti
chimici contaminati. In pochi decenni, centinaia di migliaia di
tonnellate di PCB (bifenili policlorurati, figura 7) e PCP (pentaclorofenoli),
contaminate da quantità variabili di diossine, sono state
impiegate nell'industria (i bifenili come oli isolanti e termoconduttori
nellindustria elettrica ed elettronica, i clorofenoli come
additivi antimuffa nelle vernici e come impregnanti per il legno)
e di conseguenza disperse in ambiente.
Il problema della presenza delle diossine nell'ambiente è
molto più complesso di quello che potrebbe sembrare ad un
primo esame. Due dati sono particolarmente significativi:
1) alcuni Autori sostengono che, sommando tutte le fonti conosciute
di diossine, si riesca a giustificare non più del 10% della
quantità totale stimata presente in ambiente (Meharg &
Osborn, 1995);
2) le diossine possono essere rinvenute anche in strati geologici
risalenti ad epoche preindustriali, anche se in minime quantità.
E probabile quindi che una parte della diossina rinvenibile
in ambiente possa avere avuto origine da fonti non ancora chiaramente
individuate, sia di origine antropogenica che naturale. In effetti
è stato dimostrato che le diossine si possono formare in
molti processi di combustione con presenza molto bassa, anche se
non nulla, di precursori clorurati (motori a combustione interna
di auto, navi ed aerei, stufe e caminetti domestici, incendi forestali).
Anche la fermentazione anaerobica da parte di alcuni microorganismi
naturalmente presenti nell'humus sembra portare alla sintesi di
quantità non trascurabili di diossine (Gribble, 1994). E
comunque da sottolineare che la discussione scientifica sullargomento
dellorigine naturale delle diossine è vivissima ed
ancora molto aperta: alcuni degli elementi a sostegno delle possibili
origini naturali della diossina provengono da studi della multinazionale
chimica Dow Chemical (Bumb et al., 1980), contestati nel metodo
e nella sostanza (Kimble & Gross, 1980). Comunque sia, l'incuria
e la superficialità dell'uomo sono le sole cause della elevata
concentrazione di diossina riscontrabile nelle vicinanze di inceneritori
tecnicamente obsoleti o mal funzionanti, come pure in corrispondenza
di complessi industriali che non abbiano adottato severi mezzi di
prevenzione e di trattamento dei reflui (inceneritori, cartiere,
fonderie, raffinerie, impianti per la sintesi di materie plastiche)
(W.H.O., 1989; U.S. EPA, 1994; Greenpeace, 1996). E un dato
di fatto che landamento della concentrazione di diossine nei
sedimenti lacustri e marini è temporalmente e quantitativamente
correlato con la diffusione di composti clorurati industriali nell
ambiente, piuttosto che lutilizzo generalizzato del carbone
come combustibile (Czuczwa et al., 1984a,b, 1985, 1986; Hagenmaier
et al., 1986; Smith et al., 1992). Di conseguenza, pur essendovi
delle concause, è luso indiscriminato dei prodotti
di sintesi che ha contaminato lintero pianeta con le diossine
(U.S. E.P.A. - 1994).
Attualmente, bandito lutilizzo dei più pericolosi
organoclorurati dai processi industriali e dalle tecniche agronomiche,
la fonte accertata maggiormente significativa di diossine consiste
nei processi inefficienti di combustione, specialmente in presenza
di elevate quantità di sostanze clorurate (basti pensare
all'incenerimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti ospedalieri,
caratterizzati dall'elevatissima percentuale di imballi e prodotti
usa-e-getta in gran parte realizzati in PVC (Polivinile Cloruro).
Gli impianti destinati alla termodistruzione di questi rifiuti lavorano
spesso in condizioni tecniche inadeguate per carenze di progetto
o di manutenzione. E' stato dimostrato come l'emissione di diossina
da parte di un inceneritore possa dipendere in gran parte da inadeguati
parametri di funzionamento e solo in seconda battuta dalla concentrazione
di cloro nei materiali combusti. Per quanto riguarda il contributo
dei motori a combustione interna, una recente indagine ha potuto
verificare che i motori a ciclo Diesel di una nave portacontainer
producono annualmente una quantità di diossina pari a 79
mg I-TEQ (Rapporto TNO 51115, 1992).
LA DIOSSINA: UN SOTTOPRODOTTO DELL'INDUSTRIA DEL CLORO
Le diossine vengono generate come sottoprodotti non voluti di numerosi
processi di produzione, utilizzazione e smaltimento del cloro e
dei suoi derivati. Le emissioni industriali di diossine possono
essere trasportate per grandi distanze dalle correnti atmosferiche,
e, in misura minore, dai fiumi e dalle correnti marine.
Questa è la ragione della presenza di diossine in tutto il
mondo. Anche se la loro produzione cessasse, i livelli già
presenti nell'ambiente impiegherebbero anni prima di diminuire.
Le diossine infatti sono sostanze persistenti, per la cui degradazione
sono necessari decenni o secoli, e che possono essere riciclate
continuamente in diversi comparti ambientali.
L'esposizione dell'uomo alle diossine ha luogo quasi esclusivamente
attraverso l'assunzione di cibo, soprattutto carne, pesce e latticini.
In casi di esposizione di soggetti a concentrazioni particolarmente
elevate di diossine (ad esempio per esposizione accidentale o sul
lavoro), si è potato constatare la capacità di questi
composti a ridurre la fertilità, le capacità di sviluppo
e quelle di immunodifesa oltre che l'insorgenza di tumori. I risultati
di recenti studi dimostrano che le concentrazioni di diossine nei
tessuti umani nella popolazione generale (dei paesi industrializzati)
hanno già raggiunto o quasi livelli ai quali si possono verificare
effetti negativi sulla salute. Le più recenti ricerche sugli
effetti delle diossine sugli organismi viventi includono:
1) elevata sensibilità degli embrioni e dei feti di pesci,
uccelli, mammiferi e uomo agli effetti tossici delle diossine. Per
quanto riguarda l'uomo, gli effetti sullo sviluppo, osservati dopo
un'esposizione accidentale elevata, comprendono: mortalità
prenatale, riduzione della crescita, disfunzione di organi quali
il sistema nervoso centrale (ad esempio, danni allo sviluppo intellettivo),
alterazioni funzionali, ivi inclusi effetti sul sistema riproduttivo
maschile.
2) alterazioni cellulari del sistema immunitario, variazioni nei
livelli di testosterone (ormone sessuale maschile), nonché
variazioni nella produzione di altri ormoni ed enzimi, possono verificarsi
nell'uomo già a livelli (carichi corporei) di diossine attualmente
riscontrati nella popolazione generale dei paesi industrializzati,
o a concentrazini molto vicine a questi. Per soggetti la cui esposizione
alla diossina è più elevata della media (dovuta, per
esempio, ad una dieta prevalente a base di pesce o mammiferi marini),
i rischi di effetti negativi quali la possibilità di riduzione
del numero di spermatozoi, danni al sistema immunitario ed endometriosi,
sono più elevati.
3) Gli effetti biologici delle diossine sembrano dipendere più
dalla loro presenza in particolari organi e/o stadi vitali piuttosto
che dall'entità quantitativa dell'esposizione. Studi di laboratorio
hanno dimostrato che l'esposizione a dosi bassissime di diossina
durante un periodo critico brevissimo nel corso della gestazione
è sufficiente ad influire negativamente sulla salute del
feto.
4) Nei paesi industrializzati, i livelli di diossina presenti nel
latte umano fanno spesso sì che i lattanti assumano quantità
di diossina di gran lunga superiori alla TDI proposta dall'OMS.
Questo fenomeno è ancor più preoccupante se si considera
che le stime dei rischi alla salute dovuti alle diossine non tengono
conto di altre sostanze chimiche, quali i bifenili policlorurati
(PCB), alle quali siamo esposti. La presenza contemporanea di questi
composti in un organismo può indurre effetti cumulativi o
addirittura sinergici rispetto a quelli indotti dai singoli inquinanti.
5) La diossina è cancerogena per l'uomo e per gli animali.
L'EPA ha stimato che l'attuale esposizione di fondo della popolazione
generale alle diossine determina un rischio di contrarre tumore
variabile da 1/1.000 a 1/10.000 cittadini.
NORMATIVE INTERNAZIONALI
L'eliminazione graduale di sostanze inquinanti persistenti, tossiche
e bioaccumulative dall'ambiente è stata già affrontata
in diverse sedi internazionali. Nel corso dell terza Conferenza
Internazionale sul Mare del Nord (1990), si convenne sulla necessità
di ridurre l'emissione la diossine ed altri composti del 70% o più;
nel 1992 i membri della Convenzione di Parigi riconobbero la necessità
di eliminare gradualmente quelle sostanze tossiche persistenti e
soggette alla bioaccumulazione provenienti da fonti situate sulla
terraferma; la Convenzione di Barcellona (1993), ha raccomandato
la cessazione graduale delle immissioni nel Mar Mediterraneo da
fonti terrestri di composti organoalogenati entro il 2005; la Commissione
Congiunta Internazionale dei Grandi Laghi (IJC), ha esortato gli
Stati Uniti ed il Canada ad iniziare una graduale eliminazione del
del cloro o composti clorurati dai processi industriali (IJC 1992,
IJC 1994).
EMISSIONE DI DIOSSINE IN ITALIA
Lo stato della ricerca su fonti di emissione di diossine e loro
implicazioni sulla vita sociale in Italia sono decisamente scarse
e frammentarie. Unica eccezione in termini di quantità dei
dati e follow-up dei lavori, è rappresentata dalla ricerca
sulla popolazione di Seveso , dove, nel 1976, migliaia di cittadini
furono esposti ad elevatissime concentrazioni della forma più
tossica di diossina. La pubblicazione dei dati epidemiologici relativi
all'incidenza tumorale nei residenti di Seveso e zone limitrofe
eleborati nel decennio 1976-1986 pubblicati lo scorso anno dal Prof.
Bertazzi hanno aggiunto un importante tassello nel determinare la
correlazione tra esposizione alla diossina e l'insorgenza di alcune
forme tumorali nell'uomo. Se si escludono pochi altri episodici
casi di determinazione delle diossine al camino di alcuni inceneritori,
null'altro è dato sapere circa la produzione e rilascio di
diossine da attività industriali. La ricerca pubblicata dall'EPA,
ci può fornire lo spunto per azzardare stime approssimative
circa l'emissione di diossine dalle maggiori fonti di rilascio.
INCENERITORI
In Italia gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani
(RSU) censiti al 1991 dal Ministero dell'Ambiente, erano 204, di
cui 2 trattavano solo rifiuti urbani, 38 rifiuti misti (urbani e
speciali) e 164 rifiuti speciali. In totale vengono incenerite 43.000
t/a di rifiuti urbani, 1.162.000 t/a di rifiuti misti e 707.000
t/a di rifiuti speciali per un totale di 1.912.000 di rifiuti incenereti
annualmente pari al 7,3% del totale dei rifiuti prodotti. Le regioni
che maggiormente utilizzano la termodistruzione dei rifiuti sono
Veneto (240.000 t/a), Lombardia (180.000 t/a), Lazio (120.000 t/a),
Toscana (115.000 t/a) e Campania (77.000 t/a).
Un calcolo approssimativo circa le emissioni totali di diossine
e composti simili (furani e PCB) in Italia, si può azzardare
considerando la quantità di rifiuti inceneriti ed applicando
alcuni valori di emissioni minime e massime rilevate da studi condotti
sugli impianti di incenerimento di rifiuti misti di Padova. Ovvianmente
la stima presenta un ampia variabilità e per poter arrivare
a stime più precise si dovrebbero affettuare regolari ricerche
di analisi ai camini di tutti gli inceneritori esistenti.
(TEQ è una misura convenzionale che rapporta il quantitativo
totale di diossine alla loro forma più tossica, la tetraclorodibenzodiossina
o TCDD)
articolo tratto da http://leonardodavinci.csa.fi.it/osservatorio/piogge/datidiossina.htm
GLOSSARIO tratto da http://home.scarlet.be/chlorophiles/It/Clorofili.html
Aflatossine: Sostanze altamente tossiche e cancerogene (dieci volte
più tossiche della diossina di Seveso),
prodotte dalle muffe comuni che si formano sul pane, pinda's, ecc...
Recettore Ah: o recettore degli idrocarburi aromatici (Ah, aromatic
hydrocarbon) presente nelle cellule degli organismi viventi che
può essere efficacemente paragonato a una serratura. I composti
aromatici, come le diossine e gli idrocarburi policiclici aromatici
(PAH), vi combaciano perfettamente, come una chiave in una serratura.
Quando si supera un certo numero di serrature 'aperte' si attiva
nella cellula un meccanismo che produce enzimi per demolire le sostanze
chimiche indesiderate nell'organismo, ma tale meccanismo può
indurre anche delle reazioni collaterali indesiderate, come ad esempio
l'immunosoppressione e la distruzione di molecole aromatiche essenziali
come la vitamina K.
AOX: Alogeni organici assorbibili. Si tratta di un metodo
per la misurazione delle sostanze organiche contenenti cloro, bromo,
iodio e/o fluoro presenti nell'acqua. A tale scopo le acque di scarico
o dei corsi d'acqua vengono fatte passare attraverso il carbone
attivo. Il carbone attivo assorbe le sostanze organiche e viene
quindi incenerito. Si misura così la quantità di cloro,
bromo, iodio e/o fluoro contenuta. Gli AOX permettono di rilevare
semplicemente le quantità e non la tossicità. Anche
in fiumi lontani da qualsiasi fonte di inquinamento si può
trovare un livello di AOX relativamente elevato, poiché i
miceti o muffe che fanno marcire il legno producono acidi fenolici
e umici clorurati naturali.
BBP: butilbenzilftalato, ovvero uno ftalato ottenuto tramite
la reazione tra alcool butilico e acido ftalico. Ha punto di ebollizione
e volatilità medi. Questo ftalato si usa principalmente negli
inchiostri da stampa su poliolefine come il PE e il PP.
CFC: Clorofluorocarburi, precedentemente impiegati in enormi
quantità come refrigeranti e propellenti per spray. Poiché
non erano facilmente degradabili nell'atmosfera, essi riuscivano
a raggiungere la zona più alta della stratosfera, dove il
cloro veniva scisso dai raggi UV più intensi, causando l'assottigliamento
dello strato di ozono.
CMC: Metilcellulosa di carbossile (Carboxy Methyl Cellulose):
si ottiene da cellulosa pura eterificata con alcool metilico. Ciò
le conferisce delle straordinarie proprietà assorbenti. Il
materiale può trattenere una quantità d'acqua fino
a 400 volte il suo peso.
DBP: dibutilftalato, ovvero uno ftalato ottenuto tramite
la reazione tra alcool n-butilico e acido ftalico. Ha un basso punto
di ebollizione e una volatilità abbastanza elevata. Questo
ftalato si usa principalmente negli inchiostri da stampa. Si trova
in natura nelle componenti dell'odore del levistico e del sedano.
DCE: 1,2 - dicloroetano, l'intermedio per la produzione di PVC.
Viene ottenuto mediante la clorurazione diretta dell'etilene o mediante
ossiclorurazione, in cui una combinazione di acido cloridrico, ossigeno
ed etilene viene trasformata in DCE e acqua tramite un catalizzatore
di rame. L'acido cloridrico può provenire da cracking del
DCE per formare VCM, o da altri processi esterni, oppure dall'incenerimento
di residui clorurati. Per produrre il DCE esistono, oppure sono
in fase di sviluppo, anche altre reazioni utilizzate a livello industriale.
Il DCE si usa anche come materia prima per la produzione di ammine.
DEHP: di-etilesilftalato, a volte indicato anche come DOP
(di-ottilftalato), ovvero uno ftalato ottenuto tramite la reazione
tra alcool etilesilico e acido ftalico. Si tratta di un prodotto
oleoso con punto di ebollizione elevato, bassa volatilità
e limitata solubilità in acqua. Si può facilmente
incorporare nel PVC, dove agisce rendendo più morbido il
materiale normalmente rigido. Il PVC plastificato con DEHP è
l'unico materiale flessibile approvato dalla Farmacopea Europea
per le apparecchiature di trasfusione del sangue e del plasma.
DGT: Dose Giornaliera Tollerata (TDI - Tolerated Daily
Intake), ovvero la quantità di un prodotto di qualsiasi natura
(ma principalmente alimentare) che può essere ingerita senza
avere effetti indesiderati (oppure entro limiti accettabili) anche
in caso di assunzione prolungata per tutta la vita. In generale
tale quantità si basa su esperimenti condotti su animali,
in cui il limite viene considerato il livello al di sotto del quale
non si osservano effetti indesiderati (NOAEL - No observed adverse
effect) sull'esemplare più vulnerabile. Per l'uomo nello
stabilire la DGT si applica un ulteriore fattore di sicurezza 100.
Per quanto riguarda le sostanze cancerogene, la DGT si basa su un
calcolo ricavato dal numero di casi di cancro registrati negli animali,
laddove si abbia meno di 1 caso in più su 1 milione di esemplari.
Si applica anche in questo caso un fattore di sicurezza 100.
DIDP: di-isodecilftalato, ovvero uno ftalato ottenuto tramite
la reazione tra alcool isodecilico e acido ftalico. Rispetto al
DINP ha un punto di ebollizione leggermente più elevato e
minore volatilità. Non è di uso comune.
DINP: di-isononilftalato, ovvero uno ftalato ottenuto tramite
la reazione tra alcool isononilico e acido ftalico. Rispetto al
DEHP ha un punto di ebollizione leggermente più elevato e
minore volatilità. Si usa soprattutto per produrre giocattoli
morbidi in PVC.
Diossina: Vedi PCDD/F.
DMT: Dose massima tollerata, ovvero la quantità massima
di un prodotto che può essere somministrata ad un animale
senza causarne la morte in un determinato periodo di tempo. Molti
test sulle sostanze cancerogene adottano come dosi, per esperimenti
che coprono tutto l'arco dell'esistenza dell'animale al fine di
determinare gli effetti di un prodotto, la DMT, metà della
DMT, un quarto della DMT e zero DMT. Una sostanza veramente cancerogena
fa aumentare decisamente l'incidenza del cancro con la DMT, parzialmente
con mezza DMT, e così via... In realtà con la DMT
l'animale viene costantemente intossicato e ciò può
provocare un notevole aumento dell'incidenza del cancro, causata
però dall'avvelenamento e non dalle proprietà cangerogene
del prodotto in sé. In questi casi, dosi minori fanno rilevare
un'incidenza di gran lunga più contenuta e al di sotto di
un certo valore, il numero dei casi torna nella norma. Vedere il
documento di Bruce N. Ames: "Too many rodent carcinogens"
("Troppe sostanze cancerogene per i roditori") (non si
tratta di chiacchere scientifiche da talk-show!).
EDC: dicloruro di etilene, o più precisamente 1,2
- dicloroetano, vedi DCE.
Endometriosi: Una malattia alquanto dolorosa che provoca infiammazioni
croniche della mucosa che cresce anche fuori dall'utero.
Etilene/propilene: si ottiene attraverso cracking di GPL o petrolio
grezzo, da cui si ha un rendimento risp. del 90% o del 70% di etilene
e propilene. Materiali residui sono il benzolo, il butadiene, frazioni
leggere e PAH. Il benzolo e il butadiene vengono usati per altri
scopi, le frazioni leggere vengono mescolate nel petrolio e i PAH
vengono inceneriti. L'etilene ha molte applicazioni, soprattutto
per la produzione di diverse materie plastiche.
Ftalati: Gruppo di sostanze chimiche ottenute tramite la reazione
di diversi alcool con l'acido ftalico. Queste sostanze chimiche
vengono definite esteri, o in questo caso esteri ftalici e vengono
aggiunte al PVC per renderlo flessibile. Vengono usate anche per
gli inchiostri da stampa, per gli adesivi e la gomma. A seconda
del tipo di alcool impiegato per produrre l'estere, si ottengono
diverse proprietà per diverse applicazioni. Se si usano alcool
a catena breve, come nel dibutilftalato (usato principalmente negli
inchiostri da stampa ma presente anche nella componente dell'odore
del levistico e del sedano), si ha un'elevata volatilità,
mentre gli ftalati impiegati per il PVC hanno in genere una volatilità
modesta. Gran parte degli ftalati utilizzati nel PVC flessibile
sono DEHP (di-etilesilftalato) e DINP (di-isononilftalato).
grammo: Le diverse unità di peso sono cosÏ suddivise:
1 tonnellata = 1.000.000 g (1 Mg o megagrammo)
1 kg = 1.000 g (chilogrammo)
1 g = 1 g (grammo)
1 mg = 0,001 g (milligrammo)
1 µg = 0,000001 g (microgrammo, spesso con l'abbreviazione
ug o mcg)
1 ng = 0,000000001 g (nanogrammo)
1 pg = 0,000000000001 g (picogrammo)
1 fg = 0,000000000000001 g (fentogrammo)
HCB: Esaclorobenzolo, essenzialmente un sottoprodotto della
combustione in presenza di tracce di cloro, come avviene durante
l'impiego di combustibile in mare. Resiste alla biodegradazione
e può accumularsi nella catena alimentare
HCFC: Idroclorofluorocarburi, impiegati in sostituzione
dei CFC. Grazie alla presenza di un atomo diidrogeno, gli HCFC vengono
degradati molto più rapidamente rispetto ai CFC. Ciò
significa che solo una minima parte della sostanza raggiunge lo
strato d'ozono. La sostituzione dei CFC con gli HCFC e altre sostanze
ha già ridotto l'effetto potenziale globale di assottigliamento
dello strato di ozono al 3% rispetto ai valori calcolati all'inizio
degli anni novanta.
HDPE: High density polyethylene ovvero polietilene ad alta
densità. Il processo di polimerizzazione dall'etilene avviene
a bassa pressione, con un catalizzatore organo-metallico. Dal momento
che questo tipo di polimerizzazione presenta meno catene collaterali,
il prodotto finale ha una densità più alta e maggiore
rigidezza. Si usa principalmente per fabbricare diversi tipi di
contenitori e tubature.
Laminato: Materiale da imballaggio composto da strati di diversi
materiali, per ottenere le proprietà che non si possono avere
con un solo materiale. Es. le confezioni in brick sono costituite
da un laminato PE, alluminio e cartone. Il PE offre il vantaggio
di essere chimicamente inerte, l'alluminio lo rende impermeabile
al 100% all'umidità e alla luce e il cartone conferisce rigidezza
e la possibilità di essere stampato.
LCA: Life Cycle Analyses (Analisi del ciclo di vita), un
metodo scientifico per calcolare l'impatto ambientale di un materiale
- o di un processo - nel corso di tutta la durata o vita del prodotto,
in una determinata applicazione, dall'uso di materie prime allo
smaltimento alla fine del suo utilizzo. In questo modo si può
effettuare un confronto tra l'impatto ambientale di diversi materiali
(es. PVC, PET e vetro) o di diversi metodi (es. reversibile e irreversibile)
che hanno la stessa funzione (es. contenitori di acqua minerale).
LDPE: Polietilene a bassa densità (Low density polyethylene)
. Il processo di polimerizzazione dall' etilene avviene ad alta
pressione (migliaia di bar) con una piccola quantità di ossigeno
come catalizzatore. Dal momento che questo tipo di polimerizzazione
presenta numerose catene collaterali, il prodotto finale è
a bassa densità. Viene usato principalmente per fogli di
imballaggio.
LLDPE: Polietilene lineare a bassa densità (Linear
low density polyethylene). Il processo di polimerizzazione dall'etilene
avviene a bassa pressione, ma con un catalizzatore organo-metallico.
Questo tipo di polietilene presenta meno catene collaterali, il
che lo rende meno soggetto all'ossidazione e al deterioramento dovuto
ai raggi UVA. Il peso molecolare viene mantenuto inferiore rispetto
a quello dell'HDPE e vengono inoltre aggiunti per abbassare la densità
altri monomeri che formano delle catene collaterali. Ha grosso modo
le stesse applicazioni dell' LDPE.
PAH: Idrocarburi policiclici aromatici (Polycyclic Aromatic
Hydrocarbons) che si trovano in natura nel greggio e che si formano
in qualsiasi tipo di combustione incompleta. Pochi microgrammi per
litro di acqua marina sono già sufficienti a creare dei problemi
per la crescita di plancton. Diverse sostanze di questa classe sono
altamente cancerogene. Anche in incendi in cui sono coinvolti PVC
o altri materiali clorurati, le quantità di PAH sono molto
più significative, sia dal punto di vista numerico (dell'ordine
di decine di migliaia) che per quanto riguarda la tossicità
(sono centinaia di volte più potenti). Sono persistenti e
tendono ad accumularsi nella catena alimentare.
nitro-PAH: Si tratta delle varianti nitrate dei PAH. Le sostanze
cancerogene e mutagene più potenti finora conosciute. Sono
perlopiù prodotti della combustione.
PC: Policarbonato. In questo caso le materie prime sono
composti del cloro: fosgene ed alcuni composti aromatici clorurati.
I composti aromatici provengono dal petrolio grezzo, il cloro e
l'idrato di sodio dal sale. La polimerizzazione viene effettuata
scindendo il cloro mediante l'idrato di sodio. Il prodotto finale
non contiene più cloro. Il PC ha un'alta resistenza all'urto
e alle alte temperature che lo rende adatto a molte applicazioni,
dai CD ai finestrini degli aeroplani, agli utensili da cucina resistenti
al calore.
PCB: Difenili policlorurati. Una categoria di prodotti industriali
usata per oli isolanti e da riscaldamento e per oli di circuiti
idraulici. Negli anni settanta ed ottanta è stato scoperto
che i PCB erano dannosi per la riproduzione delle foche e di altri
animali. La produzione di PCB è stata sospesa da più
di dieci anni. I residui di PCB provenienti, ad esempio, da trasformatori,
vengono bruciati in inceneritori per sostanze clorurate in maniera
tale da non recare danno all'ambiente.
PCDD/F: Le P-dibenzodiossine policlorurate e i p-dibenzofurani
policlorurati, o, in breve 'diossine' sono una famiglia composta
da 210 diversi sottoprodotti dannosi principalmente derivanti dalla
combustione di materiale organico, contenente cloro o meno. Si possono
anche formare in certi processi chimici. Vedi anche I-TEQ.
PCP: Pentaclorofenolo, un pesticida usato per la protezione
delle fibre tessili e del legno, che agisce contro i miceti, i batteri
e i vermi. Poiché si è scoperto che questo prodotto
conteneva quantità relativamente elevate di diossine, ne
è stata vietata la produzione in molti paesi.
PE: Per le tubature e i contenitori normalmente si usa HDPE,
ovvero polietilene ad alta densità. Per gli imballaggi si
usa principalmente LDPE, polietilene a bassa densità, perché
è più flessibile.
Peer review: si tratta della revisione di uno studio scientifico
da parte di esperti indipendenti, soprattutto per verificare che
non vi siano stati errori di metodo. Normalmente non si commentano
le cifre contenute nello studio, a meno che non si tratti palesemente
di errori.
PET: Polyethylene terephtalate (polietilentereftalato).
Si ottiene con acido tereftalico e etilenglicole, entrambi derivati
del petrolio grezzo. La produzione richiede diverse fasi, e perciò
utilizza una quantità superiore di energia rispetto ad altre
materie plastiche. Ha un'alta resistenza a trazione, che lo rende
adatto alla creazione di fibre ('poliestere') e alla produzione
di bottiglie a pressione per acqua con anidride carbonica e bevande
gasate.
PE-X: Polietilene a legame incrociato con altri monomeri
per aumentarne la resistenza e ridurre gli effetti dell'ossidazione.
POP: Persistent Organic Pollutants - Sostanze organiche
inquinanti persistenti. Si tratta di sostanze che non vengono decomposte
facilmente, né dai batteri, né dai miceti, né
dai raggi UV o dall'ossidazione, ecc... Esse causano inoltre danni
all'ecosistema. Tra le POP si possono citare le diossine, i PCB,
i PAH e i nitro-PAH. In molti casi esse sono prodotte dalla combustione
incompleta nel corso di diversi tipi di incenerimento.
PP: Polipropilene. Il processo di polimerizzazione dal
propilene avviene a bassa pressione, ma con catalizzatore organo-metallico.
Circa il 6% della polimerizzazione va a costituire sottoprodotti
di scarto che vengono estratti e inceneriti. Presenta alta resistenza
allo strappo e a trazione, che lo rende adatto per la produzione
di cavi e di contenitori.
PS: Polistirolo. Le materie prime che lo costituiscono sono
benzolo ed etilene, che, passando per l'etilbenzene, vanno a creare
il monomero stirene. Il processo di polimerizzazione avviene principalmente
per contrazione, con perossidi come catalizzatori. Si usa per molti
utensili da cucina e sotto forma di polistirene espanso (EPS) come
materiale isolante. L'espanso o spugna viene creato iniettando dell'aria
nella massa fusa, e non tramite CFC.
PU: Poliuretano. Le materie prime che lo compongono contengono
cloro: il fosgene ed alcuni composti azotati. I composti azotati
provengono dal petrolio grezzo e dall'azoto, e il cloro dal sale.
La combinazione viene effettuata per sottrazione dell'acido cloridrico.
Il prodotto finale è il risultato dell'unione di due composti,
con l'eventuale aggiunta, allo stesso tempo, di agenti schiumogeni.
Ciò rende possibile la produzione della spugna che si usa
nei materassi e nei sedili delle auto e degli aerei. Il prodotto
finale non contiene più cloro. L'acido cloridrico scomposto
durante il processo viene riutilizzato per produrre VCM/PVC.
PVC: Cloruro di polivinile (Polyvinylchloride), materiale
plastico composto come materia prima per il 43% da derivati del
petrolio e per il 57% da sale. Utilizza perciò meno materie
prime non rigenerabili e meno energia rispetto a qualsiasi altro
tipo di plastica o a molti materiali 'tradizionali'. Ciò
lo rende un prodotto ottimale per lo sviluppo sostenibile. Il PVC
ha una vasta gamma di applicazioni, dai giocattoli alle tubature
(acqua potabile e rete fognaria), fino alle sacchette trasfusionali.
PVDC: Polyvinylidenechloride, una materia plastica composta
da una maggiore quantità di cloro ricavato dal sale come
materia prima rispetto al PVC. Ciò conferisce delle buone
proprietà di 'barriera' per conservare il gusto e l'aroma.
Si impiega principalmente come imballaggio speciale per sostanze
alimentari.
I-TEQ: International toxicity equivalents (Equivalenti
internazionali di tossicità). Su un totale di 210 diverse
diossine e tipi di furani (poli)clorurati, definiti consimili, solo
diciassette sono tossici. Tra questi diciassette vi sono differenze
di tossicità per fattori che arrivano alle migliaia. Per
rendere possibile un paragone, le quantità dei diciassette
tipi di diossina/furano clorurati tossici vengono moltiplicate per
un fattore di tossicità (I-TEF) e sommate. Il fattore di
tossicità è il rapporto tra la tossicità della
sostanza consimile e il tipo più tossico di diossina, quella
che è fuoriuscita a Seveso.
Tiroxina: Ormone prodotto dalla ghiandola tiroide. Influisce sullo
sviluppo motorio e mentale nella prima infanzia.
TOC: Carbonio organico totale (Total organic carbon). La quantità
di sostanze organiche disciolte nei corsi d'acqua, nell'acqua potabile,
nelle soluzioni degli esperimenti, nelle acque di scarico, ecc...
, si può determinare e viene espressa in contenuto di carbonio
del campione. Il TOC non riguarda però la tossicità
della sostanza organica rilevata.
In utero: In utero sta a significare nel grembo della madre durante
la gravidanza. Il feto è nel periodo di sviluppo particolarmente
esposto all'effetto delle sostanze chimiche che distruggono gli
ormoni, le quali sono in grado di attraversare la barriera placentare.
VCM: Cloruro di vinile monomero (Vinylchloride monomer), l'elemento
fondamentale di composizione del PVC, il quale si ottiene per polimerizzazione.
In genere il VCM viene ricavato tramite una reazione tra il cloro
o l'HCl (acido cloridrico) e l'etilene, che va a formare DCE (dicloroetano).
Esso viene trasformato tramite cracking a temperature elevate, generando
VCM e HCl . Quest'ultimo viene riutilizzato nel processo produttivo.
Il VCM è riconosciuto come sostanza cancerogena per l'uomo,
ragione per cui nei luoghi di lavoro sono stati imposti dei severi
limiti.
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